SI PUÒ FARE!
Persone con sindrome di Down al lavoro. “Fosse per me, renderei obbligatorio inserirne una in ogni team”
“Secondo me dovrebbero essere obbligatori per legge questi ragazzi nelle attività come i bar, i ristoranti. Non so come potrebbe essere in situazioni dove c’è molta confusione, ma per un bar di quartiere, familiare, come il mio, Matilde se non ci fosse bisognerebbe inventarla”. Se si parla di inserimenti di persone disabili in contesti lavorativi, potrebbe sembrare strano, ma le storie belle da raccontare sono tante. Come quella di Michela Gabellini, titolare del bar Quattro Dodici di via Redi a Rimini, e della tirocinante Matilde Bianchi.
Quando Michela ha voglia di un caffè, è Matilde a prepararglielo. “La caratteristica del nostro lavoro è che per molte delle cose ci sono delle ricette da seguire, dei pesi definiti, chiunque alla fine potrebbe farle. Con una piccola eccezione per quanto riguarda il caffè… per farlo buono ci vuole la mano. E Matilde ce l’ha, stringe giusto. Sin da subito ha fatto un caffè buonissimo. Certo a volte le faccio la battuta: mi fai un caffè prima di Natale? Perché capita spesso che inizi a chiacchierare con tutti i nuovi clienti che entrano. Ma detto questo lei è assolutamente, affettuosamente, moralmente, intimamente un valore aggiunto nel nostro team. Ci sono clienti che vengono solo per poterla abbracciare o per poter scambiare con lei due parole. Matilde, con il suo modo di vivere la vita, che se fosse possibile sarebbe tutto un abbraccio,una festa, una risata, cambia la percezione delle tue preoccupazioni, ti sembrano meno grosse, abbassa l’asticella non solo al lavoro, anche nella quotidianità in generale”.
Matilde è sì tutta un abbraccio, eppure non è solo questo. È brava nel suo lavoro. “ Serve ai tavoli, sparecchia, sistema le sedie, pulisce, riempie le zuccheriere. È diventata via via sempre più autonoma. Adesso, per esempio, non ha più bisogno che io le dica cosa fare. Si guarda intorno e interviene dove c’è bisogno. È molto collaborativa, le piace il lavoro di squadra, è assolutamente responsabile e precisa ed è una pr eccezionale. Quando organizziamo una festa e lo diciamo a lei, tempo due giorni e ha già invitato tutto il bar. È un megafono”.
Per la famiglia di un ragazzo disabile, la possibilità di inserimento lavorativo vuol dire tanto.
“È fondamentale, se si vuole che arrivino a condurre una vita autonoma”, spiega la mamma, Evy Righini. La possibilità del lavoro apre per esempio alla possibilità di pagare un affitto, delle bollette, la spesa al supermercato per condividere un appartamento con gli amici. Si genera una possibilità di emancipazione a cui attualmente a fare da contraltare non c’è granché. “ Per i nostri ragazzi, quando finisce la scuola, non c’è nulla, se non il centro diurno”. Una catena che può essere spezzata da un progetto di tirocinio e l’inserimento in ambiente lavorativo, quando le caratteristiche della persona lo permettono. “È importante perché introduce in un contesto sociale stimolante. Matilde ha un suo compito che la fa sentire grande. Esce di casa ogni giorno per andare al suo lavoro, così come fanno la sua mamma e il suo papà”.
Lavoro è anche possibilità di sviluppare relazioni sociali. “Matilde conosce tutti i suoi clienti, sa cosa prendono abitualmente”. Se, per esempio, il signor Francesco le chiede “il solito”? “ Lei sa cosa deve fare”.
A Matilde, da parte sua, lavorare piace “moltissimo. Io e Michela siamo una squadra fortissima”, dice. E i clienti? “Sono bravi e simpatici”. A domanda su cosa preferisca fare di più, non ha dubbi: “La lavastoviglie”. Quando non sta bene e non va al lavoro “mi dispiace molto. E poi Michela senza di me è perduta”.