I conti. Per il decimo anno consecutivo la Diocesi chiude in attivo. Ma resta un debito
Spendersi per il bene delle persone (attraverso l’evangelizzazione) e sostenere chi è più in difficoltà (attraverso la carità).
Sono le due direzioni in cui si incammina da sempre la Chiesa cattolica.
E l’utilizzo dei beni materiali mobili e immobili della Diocesi deve muoversi in questa direzione. “ Anche la dimensione più strettamente economico-amministrativa concorre a questo fondamentale compito della Chiesa. – illustra così la filosofia che anima il suo ufficio, l’economo diocesano don Danilo Manduchi – Ogni euro è dunque profuso nella cura e nell’attenzione dei più piccoli e dei più poveri che sono e restano i veri ‘tesori.’ I beni della Chiesa – come ricordava papa Benedetto XVI nella Caritas in veritate – sono soprattutto dedicati alla vita della comunità cristiana, alle opere educative e pastorali, ai poveri e ai bisognosi”.
Le quattro colonne
Il Bilancio 2023 della Diocesi (appena presentato ai Consigli economici parrocchiali riuniti in Seminario) va proprio in questa direzione. L’economia della Chiesa riminese si regge su quattro colonne, autonome ma in relazione tra loro perché tutte “garantite” dalla figura del Vescovo: la diocesi, le singole parrocchie, gli enti religiosi e l’8 x mille (con l’Istituto di sostentamento del clero).
L’esercizio 2023 è caratterizzato – ancora una volta – dal segno “più”. Un risultato che consente l’ennesima riduzione del debito bancario. È questa la strada intrapresa con decisione da alcuni anni dalla Chiesa riminese (bilanci in attivo consecutivamente dal 2014), che le ha “fruttato” anche i complimenti della Congregazione per il Clero di Roma.
I numeri del 2023 parlano di 3.840.150 euro di ricavi, a fronte di 2.272.004 euro di costi, per un utile di gestione pari a 1.567.216 euro.
Dal 2014 ad oggi la Chiesa di Rimini ha abbassato il debito bancario da 36 a 10 milioni, con una media record di 2,6 milioni l’anno. Tutto ciò ricorrendo solo ad una importante alienazione (la ex Casa dei Ritiri di Covignano) e grazie al sacrificio e al lavoro di tutta la Chiesa diocesana.
Il risultato è frutto di una virtuosa triangolazione: aumento dei ricavi, contrazione dei costi, e vigilanza per un’amministrazione essenziale. Il bilancio 2023 presenta però anche dei chiaroscuri.
Da un’analisi comparata con i costi delle ultime stagioni si evince che le entrate si sono leggermente contratte: dai 4.830.375 del 2020 e dai 4.751.257 del 2022 si è passati a 4.492.039 del 2022 e ai 3.840.150 euro del 2023, ovvero 657.000 euro in meno di ricavi.
E le spese che erano in continua diminuzione: 2.992.606 nel 2020, 2.357.037 nel 2021, fino ai 2.029.000 euro del 2022, ovvero un risparmio di 328.037 euro in meno, sono risalite di 243.028 euro.
Una montagna (ancora) da scalare
In ogni caso, a certificare la filosofia che anima l’operato della Diocesi, e che si basa sulla sostenibilità, è anche il confronto con la cifra dalla quale si era partiti nel 2014, quando il debito bancario ammontava a 36.000.000. Significa che in dieci anni il debito è stato ridotto di 26 milioni di euro.
Con il 2023 termina però il ricavo che il diritto di superficie del vecchio seminario portava. “ Ciò significa – fa notare l’economo – che l’anno prossimo ricaveremo in meno 1 milione di euro. E mantenendo la previsione ottimistica di un utile annuo di 500.000 euro circa (finora ampiamente rispettata, ndr), occorreranno altri 20 anni per estinguere il debito bancario”.
La Diocesi di Rimini ha ridotto sensibilmente il debito, intrapreso azioni sostenibili e cercato di contrarre i costi, ma a quale prezzo?
Si continua a risparmiare ma – dati alla mano – senza che la Diocesi venga meno al suo compito precipuo. Infatti: la proposta pastorale ed evangelizzatrice della Chiesa, scopo fondamentale della sua esistenza, non ha subito tagli e limitazioni come pure la carità, che occupa sempre il primo posto nella scala degli “investimenti” annuali effettuati della diocesi.
Senza dimenticare che molti costi che la Chiesa riminese sostiene (come tutta la Chiesa italiana) sono spesso supplenza di ciò che lo Stato dovrebbe fare ma di fatto non fa o non riesce a fare, “ attraverso la sussidiarietà passa molto della testimonianza cristiana che ci sta a cuore” fa notare don Manduchi.