Concerto dell’Orchestra Haydn diretto dalla russa Alevtina Ioffe con l’ucraina Anna Kravtchenko al pianoforte
TRENTO, 10 aprile 2024 – Questo è il momento delle donne. Anche sul podio. Non c’entrano però le quote rosa: qui bisogna mostrare talento, requisito fondamentale per affrontare il giudizio del pubblico, non sempre benevolo e spesso legato a pregiudizi su attività ritenute essenzialmente maschili.
Alevtina Ioffe ha alle spalle studi prestigiosi, compiuti a Mosca, e un curriculum internazionale – anche in campo operistico – altrettanto importante. Lo si percepisce subito: non solo da come ha impaginato il concerto nel cartellone dell’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento, ma soprattutto dall’ottima risposta che è riuscita a ottenere dagli strumentisti. Gesto calibratissimo, minuziosa attenzione ai dettagli (sembra che nulla sfugga al suo controllo) e un coinvolgimento anche a livello fisico da indurre inevitabilmente gli orchestrali a una risposta altrettanto partecipata.
In apertura di serata la magnifica Ouverture delle Creature di Prometeo, pressoché unico brano rimasto in repertorio delle musiche scritte da Beethoven nel 1801 per il balletto omonimo. Sono soltanto una manciata di minuti, ma sufficienti alla Ioffe per valorizzarne la rigorosa struttura: che da un lato guarda all’eleganza formale classica e, dall’altro, lascia affiorare – attraverso un’inesausta varietà dinamica – quelle novità che di lì a poco caratterizzeranno il vorticoso parossismo musicale rossiniano. Pochi anni dopo, nel 1808, le urgenze romantiche saranno invece del tutto evidenti nella Quinta sinfonia (forse la pagina più iconica di Beethoven), dove lievitano nell’arco dei quattro movimenti. Se nell’‘allegro con brio’ iniziale esse vengono ancora tenute sotto traccia dalla Ioffe attraverso un incedere orchestrale austero e solenne, si stemperano gradualmente nel secondo movimento, fino a esser completamente libere di manifestarsi nel terzo e quarto. Una lettura sempre rigorosa e metricamente molto scandita, dove l’accuratissima gestione delle dinamiche diventa inequivocabile segno espressivo.
Il rigore ritmico è ancor più necessario, anzi decisamente indispensabile, per rendere avvertibili la varietà di ascendenze del Concerto per pianoforte e orchestra n.1 in do minore, composto nel 1933 da Šostakovič, che a ventisette anni aveva già avuto modo di mostrare tutto l’eclettismo del suo talento. Particolare l’organico del brano: il ruolo solistico del pianoforte – che nella tradizione russa aveva avuto un peso fin troppo ingombrante – viene infatti ridimensionato da un’orchestra di soli archi e, soprattutto, dalla presenza della tromba (l’ottimo Nicola Baratin, dal 2020 prima parte dell’Orchestra Haydn). La lettura della Ioffe ha sottolineato l’eterogeneità di temi sapientemente amalgamati, le suggestioni popolari e jazzistiche, senza trascurare quella vena romantica che serpeggia sia negli archi sia in alcuni passaggi della tastiera e, soprattutto, nel malinconico duetto tra pianoforte e tromba. Nello stesso tempo è riuscita a far avvertire la presenza dei temi beethoveniani (a cominciare dalla celebre Appassionata) e le palesi intenzioni irriverenti, se non addirittura dissacranti, associate a questa pagina. Solista di lusso l’ucraina – è nata a Kharkiv, città oggi tristemente famosa – Anna Kravtchenko. A ulteriore dimostrazione delle proprie non comuni qualità (nel 1992 ha vinto il prestigioso concorso Busoni di Bolzano), ha poi intrattenuto il pubblico con un Notturno di Chopin. Un’eloquente espressione delle emozioni che il compositore sapeva comunicare attraverso la tastiera, seppure lontana sia dalla sofferta vicenda esistenziale di Šostakovič (funestata dai suoi tormentati rapporti con il potere sovietico) sia dalla tensione morale che animava Beethoven: i due riverberi del reticolo musicale che ha scandito le traiettorie dell’intera serata.
Giulia Vannoni