Abbiamo iniziato un’inchiesta fra i preti riminesi ponendo queste domande:
Molti lamentano un calo di partecipazione alle celebrazioni ecclesiali. Tante le domande che sorgono: davvero il Vangelo di Gesù ha perso il suo fascino?
È la Chiesa a non saperlo comunicare?
La secolarizzazione ha cancellato le domande che vivono dentro di noi?
Non ci chiediamo più che senso possa avere la nostra vita?
La fede può diventare cultura e incidere sulla mentalità e sulla vita?
Pubblichiamo i primi contributi che ci sono giunti.
Dall’Incarnazione alla Disincarnazione
“ Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente…!
Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato.
Sappiamo però che quando Egli si sarà rivelato, noi saremo simili a Lui, perchè lo vedremo così come Egli è.” (1 Gv 3, 1-2) Ecco in queste poche, umili, semplici parole della prima lettera di Giovanni, comprensibili anche dall’ultimo degli analfabeti di questo mondo, è riassunta tutta la teologia del mistero dell’Incarnazione, sufficiente a fare di questa e di tutta la vita un paradiso…
C’è pace in questa teologia, c’è umiltà, non c’è la presunzione… di volere dire “quello che ancora non è stato rivelato…”, c’è quanto basta per accettare di essere quello che si è, fin da ora… Non devi vergognarti di niente di quello che sei, non devi fare alcuna ‘castrazione’; non c’è niente in te che non piaccia a Dio Padre che ti ha pensato e generato: sei frutto del suo amore. Non c’è potere.
E il Padre, facendosi uomo in Cristo Gesù, questo ha voluto dire e consacrare, passando per un ‘beone e un mangione’, perchè dove c’è Dio non può non esserci festa, anche quando un figlio, uscendo di casa, si è ridotto alla condizione di servo…
Ma questa semplice, santa e sana teologia è stata sommersa nel corso dei secoli da mille altre teologie che hanno voluto dimostrare che l’uomo è un frutto sbagliato dell’amore di Dio, che è stato concepito tutto nel peccato, che “è tutto da rifare” cominciando proprio dalla carne, che deve essere mortificata: mi risparmio e risparmio il lettore riguardo a cosa non s’è fatto e non s’è detto in questi secoli di teologia morale a riguardo della carne; come se fosse stata pensata e creata da un Dio nemico del Padre… come se Cristo Gesù vestendosi di carne abbia fanto finta di essere umano… Lui lavato dalle lacrime della Maddalena e asciugato dai suoi capelli…
E così, abbiamo presentato come modelli di santità da imitare chi si vantava di non avere mai dato un bacio nell’adolescenza alla propria madre… e non diciamo altro… E così per mortificare la carne e per non contaminarci stiamo uscendo dalla vita e dalla storia… Ci siamo specializzati sul cielo, abbiamo voluto dire quello che ancora non è stato rivelato, lasciando la carne e la terra in mano a chi darà una degna sepoltura… come avviene per i funerali…
Siamo usciti dal mondo del lavoro perchè per starci era necessario prendere parte come fa Gesù senza paura di sporcarsi le mani e la talare: la bestemmia dei disperati per noi offendeva Dio più dell’ingiustizia….
Stiamo ancora discutendo sul ruolo della donna, benchè se escono le donne dalla chiesa rimaniamo con i bimbi che devono venire per i sacramenti dell’iniziazione…
Per portare l’uomo in cielo stiamo cancellando quell’opera meravigliosa che è l’Incarnazione: la venuta di Dio nella carne per dare inizio alla festa, “veramente, fin da ora”… il Regno di Dio è già in mezzo a voi…” (dal Vangelo) don Piero Battistini
Ritornare all’origine
Caro Ponte rispondo alle tue sollecitazioni con alcuni brani dell’introduzione al mio libro Ritornare all’origine. Uno sguardo di speranza nella fine della cristianità, edito da Cantagalli (Siena), che sarà in libreria dal mese di giugno, e tratta proprio le tematiche su cui ci chiedi di intervenire.
Un cambiamento d’epoca può essere l’occasione per riscoprire quella forza vitale che duemila anni fa ha reso possibile la prima grande espansione del cristianesimo?
Papa Francesco, nel suo viaggio in Ungheria dell’aprile 2023, ha invitato a superare le opposte tentazioni di «difenderci dal mondo, chiudendoci nelle nostre oasi religiose, comode e tranquille» e di adeguarsi «ai venti cangianti della mondanità», per interpretare invece «i cambiamenti e le trasformazioni della nostra epoca» come «sfide pastorali».
Di fronte al calo numerico dei cristiani negli Stati Uniti e in Europa, Rod Dreher suggerisce di smettere di resistere cercando piuttosto di «lavorare sulla costruzione di comunità, istituzioni e reti di resistenza», secondo il modello delle comunità monastiche benedettine. Adrien Candiard contesta tale visione, senza tuttavia citare direttamente Dreher, precisando che i monaci «non hanno fatto dei loro monasteri delle piccole comunità ripiegate su di sé o, ancor meno, occupate a gettare improperi sul presente e a celebrare il passato». Essi «non cercano di lottare contro il mondo che li circonda, ma di farvi vivere la presenza di Dio, non cercano, nel mezzo delle macerie, di edificare nuovi fortini o degli isolotti di impero»; i monaci erano «custodi della speranza del mondo» poiché «potevano guardare la notte senza terrore», in quanto «avevano nel profondo di sé abbastanza luce per non dubitare dell’esistenza del mattino.
Il mondo si aspetta da noi che viviamo nella speranza, cioè che viviamo per quello che conta davvero e che non passerà mai». Chantal Delsol invita i cristiani a rinunciare al «potere della Chiesa come cristianità» senza ricercare una nuova egemonia, per rimanere «solamente dei testimoni silenziosi e, in fondo, degli agenti segreti di Dio».
Accettare la fine della cristianità, riconoscendo di essere una minoranza senza ricercare una egemonia, significa rinunciare alla lotta per la fede e alla presenza missionaria nel mondo?
Nei giorni che seguirono il referendum sulla Legge 194 sull’aborto, don Giussani invitò a tornare all’origine dell’Avvenimento cristiano: «Questo è un momento in cui sarebbe bello essere solo in dodici in tutto il mondo. Vale a dire, è proprio un momento in cui si ritorna da capo, perché mai è stato così dimostrato che la mentalità non è più cristiana. Il cristianesimo deve rinascere come sollecitazione alla problematica quotidiana, vale a dire alla vita quotidiana, alla vita».
Ricominciando dall’origine si sviluppa una posizione creativa e non reattiva, come scrisse Peguy riguardo a Gesù stesso, il quale non perse tempo «a gemere ed a interpellare il malore e la disgrazia dei tempi. Egli tagliò corto in un modo molto semplice. Facendo il cristianesimo ».
In questa direzione è superata l’alternativa tra il cedimento al mondo e la ricerca di un’egemonia, e, con una passione indomabile in ogni rapporto e in ogni ambiente, si vive la missione in un «corpo a corpo» tesi a incrociare lo sguardo della Persona amata in ogni incontro, avendo sete della sete del cuore umano degli uomini e delle donne del nostro tempo.
È la posizione di chi non indugia sul lamento circa il deserto cercando invece questa sete, essendo noi cristiani – sacerdoti e laici, uomini e donne – i primi ad essere assetati di ciò che tante volte crediamo già di conoscere. don Roberto Battaglia