Un fenomeno diffuso, tanto da spingere il Ministero a istituire un’apposita Giornata di sensibilizzazione. Aggressioni fisiche e verbali, sputi e minacce dagli utenti. Le testimonianze: “Clima non sereno”
Gli operatori sanitari non sono ancora adeguatamente tutelati in Italia. Una follia, se pensiamo al ruolo decisivo che medici, infermieri e operatori in generale hanno avuto solo pochi anni fa durante la pandemia per tenere in piedi l’intero sistema. Per non parlare di ciò che fanno ogni giorno, in silenzio, per l’intera comunità. Tutele inadeguate, in particolare, di fronte agli episodi di aggressioni fisiche e verbali da parte degli utenti. Un tema spesso sottovalutato, ma che si lega a un fenomeno diffuso: tanto che nel 2022 il Ministero della Salute ha istituito la “Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari”, che si celebra il 12 marzo di ogni anno. La ricorrenza di pochi giorni fa, dunque, ha riportato l’attenzione su una questione tanto sottostimata quanto allarmante, anche sul territorio.
Regione e Ausl, una piaga diffusa
In occasione della Giornata del 12 marzo, la Regione Emilia-Romagna ha diffuso i risultati dell’indagine condotta dall’Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e sociosanitarie, relativa all’anno 2023, dalla quale emerge che sono state ben 2.401 le aggressioni avvenute nei confronti degli operatori sanitari sul territorio regionale, con 2.732 professionisti coinvolti (gli episodi spesso riguardano più di un operatore), con la maggior parte verificatesi nel settore pubblico (2.112), di cui 1.997 in ospedale.
Numeri importanti, che si inseriscono in un contesto non facile: in generale, secondo i dati diffusi dalla Regione, le tipologie di aggressione più frequenti in Emilia-Romagna sono quelle verbali (83,2%), “ dato nettamente in crescita negli ultimi anni”. Seguono le aggressioni fisiche (32,7%) e quelle contro la proprietà (11,3%).
Rimanendo sul settore pubblico, a essere coinvolto in questi episodi è il 3,4% del totale dei dipendenti del servizio sanitario regionale, con gli infermieri a rappresentare la qualifica professionale più colpita (59,7%), seguiti dai medici (11,2%) e dagli operatori socio-sanitari (10,3%). Aggressioni che, nella maggioranza dei casi, sono perpetrate da utenti e pazienti (79%), ma non mancano quelle ad opera di parenti, caregiver o conoscenti dei pazienti.
Colpite, come immaginabile, soprattutto le aree di degenza (27,2%), i Pronto Soccorso (26,1%) e i reparti psichiatrici (12,6%). Una situazione che non può dare serenità, e alla quale si allinea anche quella di Ausl Romagna.
Secondo i dati dell’azienda sanitaria, infatti, nel 2023 sono state 324 le violenze segnalate di tipo verbale, che rappresenta il numero più alto dal 2018 a oggi. Si aggiungono quelle fisiche (29), gli episodi che uniscono violenza verbale, fisica e a proprietà dell’azienda (33), oltre a quelle verbali con violenza su proprietà dell’azienda (38, dato più alto dal periodo pre-Covid) e le 80 aggressioni verbali e fisiche insieme, dato più alto dal 2020. Arrivando a un totale, dunque, di circa 500 aggressioni nel 2023, per uno scenario che continua a preoccupare.
Gli operatori: “Non siamo tranquilli”
La preoccupazione emerge chiaramente dalle parole dello stesso personale sanitario, che da tempo, purtroppo, si confronta direttamente con questi episodi. “ Il clima non è sereno. Si tratta di fatti che purtroppo conosciamo, anche se occorre fare i necessari distinguo.
– racconta Mario (nome di fantasia), operatore sanitario impiegato nel Riminese – In alcuni casi la violenza messa in atto è quella di pazienti che non sono completamente in controllo di loro stessi, per i più diversi motivi. La malattia per cui accedono ai servizi sanitari (pensiamo a problemi cerebrali), la disidratazione, la fatica a dormire di notte a causa di eventuali rumori, i farmaci e la pregressa sedazione possono portare a una condizione di sconnessione e non lucidità, tale da arrivare a compiere atti di violenza fisica o verbale senza una vera intenzione”. Altra cosa, però, sono gli atti di violenza compiuti volontariamente. “ Ci sono pazienti, invece, che sono in possesso delle proprie facoltà e che decidono di comportarsi comunque in modo aggressivo. A colleghi che conosco, solo nell’ultimo anno e mezzo, di questi casi ne sono capitati diversi: oltre agli insulti e agli attacchi verbali, parliamo di sputi, calci a livello del torace, dita storte, fino addirittura a pugni in faccia, per fortuna senza causare fratture. È inutile dire quanto questo renda ancora più difficile svolgere al meglio un lavoro così complesso, anche a livello psicologico”.
L’operatore entra nei dettagli di alcuni episodi specifici. “ Di due casi ho avuto testimonianza diretta. In uno di questi una mia collega, fisicamente minuta, è stata bloccata da un paziente, un uomo di dimensioni importanti, che afferrandola per un braccio la teneva ferma mentre con l’altra mano cercava di togliersi il tubo oro-tracheale con cui era intubato. Una volta riuscito nell’intento ha proseguito con insulti e, addirittura, con sputi. In un’altra occasione un paziente straniero ha cercato di dare un calcio a una mia collega che stava traducendo per lui: in quel momento le operatrici impegnate si sono trovate costrette a chiedere l’intervento delle guardie giurate, alla vista delle quali il paziente si è calmato. Un episodio che solleva anche un’altra questione, che va sottolineata senza alcun tipo di intento sessista: a soffrire di queste violenze, purtroppo, sono spesso operatrici donne, soprattutto quando a metterle in atto sono pazienti uomini, perché i comportamenti aggressivi, evidentemente per istinto, trovano la strada più libera nei confronti di chi è fisicamente più minuto e incapace di difendersi”. Si tratta anche di violenze non fisiche, ma non per questo meno gravi. “ In particolare durante l’emergenza Covid, dove anche se sembra paradossale si è raggiunto l’apice dell’odio nei confronti del personale medico-sanitario, ricordo pazienti che ci facevano contattare dal proprio avvocato per i più diversi motivi, come ad esempio per la mancata consegna del pranzo (a orari incompatibili). Oppure ricordo utenti che facevano video col cellulare mentre eravamo impegnati al computer per diffondere l’idea che in realtà non stessimo attenti ai pazienti, senza sapere che il 60% del nostro lavoro è rappresentato dal documentare al computer ciò che facciamo, perché tutto ciò che non risulta scritto è, in un certo senso, come se non esistesse. Serve maggiore tutela e rispetto, sotto diversi punti di vista”.