Le città sono nate con lo sviluppo del commercio e le attività commerciali sono cresciute con l’espandersi delle città. Questo binomio è durato per centinaia di anni, ma nelle città del XXI secolo sembra che non sia più così. L’innovazione tecnologica sta portando cambiamenti significativi. La società dei consumi viveva su un assetto ben definito, la maggiore produzione di merci si accompagnava alla diffusione del commercio. Quindi presupponeva una capillare presenza dei negozi all’interno della città. Le piccole botteghe hanno, successivamente, conosciuto il prepotente arrivo delle grandi catene e dei centri commerciali. Anche Rimini negli anni ’80 ha sperimentato questo fenomeno che ha causato la chiusura di centinaia di negozi di piccole dimensioni, soprattutto nel settore alimentare. Ora c’è un nuovo fattore di concorrenza per il commercio tradizionale ed è l’ampia diffusione della vendita online. Ormai tutto si può comprare online, con tempi di consegna che non superano le 48 ore.
Molti commercianti rinunciano ad avere abbondanti scorte in magazzino, per ridurre i costi, così comprare online, anche per chi non è abituato a farlo, diventa quasi un obbligo. Ho comprato anch’io delle scarpe spedite dall’Irlanda, ordinandole in Rete, e in due giorni sono arrivate a casa.
La crisi del commercio è visibile a occhio nudo. Basta passeggiare per il Centro e si notano decine di negozi sfitti, anche in Corso D’Augusto. È una tendenza nazionale e non solo. In Italia dal 2012 ad oggi sono scomparsi 120.000 negozi. Nelle città di medie e grandi dimensioni sono andate in crisi le attività tradizionali, come negozi di libri e giocattoli (-31.5%), mobili e ferramenta (-30.5%), abbigliamento (-21.8%), a fronte, ad esempio di una crescita dei servizi di alloggio (+43.3%) e ristorazione (+4%).
In dieci anni si è verificata una piccola rivoluzione, a cui nessuno per la verità ha fatto troppo caso. Né le associazioni di categoria, sempre più in crisi, né le istituzioni, sia quelle locali che nazionali.
Quindi nell’indifferenza generale in provincia di Rimini dal 2013 al 2022 le imprese del commercio sono passate da 12.482 a 8.606, con una diminuzione del 30%. La fase più difficile c’è stata tra il 2017 e il 2022 quando c’è stata una diminuzione di 3.520 imprese. Le strutture medio-grandi, in termini di numero di esercizi, hanno registrato, in tutta l’Emilia-Romagna, una crescita percentuale rilevante, +60% circa, dal 1998 al 2021. Mentre le grandi strutture, nello stesso periodo, si sono mantenute sostanzialmente costanti.
Insomma, quella che negli anni ’80 veniva definita la ‘desertificazione’ dei centri storici, è avvenuta, anche se più gradualmente di quanto si potesse immaginare. Tant’è che la Regione Emilia-Romagna, illustrando i presupposti della nuova legge sul commercio nei centri storici, parla di ‘rarefazione’ delle attività commerciali, concetto non molto diverso da quello sopra citato.
Non è facile, quindi, immaginare quale possa essere il futuro del piccolo commercio. Bisogna che le attività commerciali si leghino sempre di più a ciò che saranno le città tra dieci o venti anni. È finita la fase di crescita. L’economia conosce una fase di difficoltà, la popolazione invecchia, la natalità diminuisce. In questo contesto occorre un commercio di vicinato legato ai servizi, alla raggiungibilità, alla facilità d’accesso.
La legge regionale immagina la creazione di hub urbani, ovvero di aree poste al centro delle città caratterizzate da una pluralità di funzioni e soggetti, rispetto ai quali le attività commerciali svolgono un ruolo centrale, per accrescerne “l’attrattività, rigenerare il tessuto urbano e garantire una integrazione e valorizzazione di tutte le risorse presenti nel territorio.” Vedremo se queste intenzioni diverranno realtà, colmando una disattenzione durata troppi anni.
A Rimini c’è un’occasione d’oro che non può essere sprecata. È la riqualificazione del mercato San Francesco. Un luogo di incontro straordinario, in un angolo della città di grande valore. Per vincere la scommessa bisogna che rimanga un luogo capace di generare incontri, tra genti e generazioni diverse, un luogo comunitario, al di là di come saranno le nuove strutture.
Alberto Rossini