Se vogliamo che la democrazia sia un esercizio di partecipazione consapevole e le persone messe in grado di comprendere e distinguere il vero dal falso, la propaganda dalla realtà (pensate alla Brexit, votata a maggioranza dagli inglesi, ed oggi già pentiti perché nessuna delle false promesse annunciate da politici senza scrupoli si è realizzata), le posizioni supportate dalla scienza da pronunciamenti antiscientifici, la funzione della cultura è fondamentale.
Cultura tanto più necessaria per navigare, senza correre rischi, anche di frodi, nel mare sterminato del digitale, terreno privilegiato di leoni compulsivi, ma anche di imbroglioni, della tastiera. La cultura si fa a scuola, nelle biblioteche, al teatro, nei musei, al cinema, spesso in famiglia e in tanti altri posti. Ma non tutti si trovano nella condizione, anche economica, di poter disporre o usufruire di queste opportunità.
Ecco, allora, che dovrebbe essere il Pubblico a ristabilire un minimo di uguaglianza di accesso. Non come una sorta di carità culturale per i meno attrezzati, ma come mezzo per far crescere cittadini informati e capaci di affrontare responsabilmente, per sè e per l’intera società, le sfide e le scelte della vita. Per contrastare quello che Amos Oz, scrittore israeliano, ha definito “infantilizzazione delle masse”.
Gli ultimi dati disponibili BES 2023 (Benessere equo e sostenibile delle province) ci dicono che in provincia di Rimini ci sono 12 biblioteche ogni 100.000 abitanti, il valore più basso in Emilia-Romagna, a fronte di 22 di Forlì-Cesena, 27 di Ravenna, 19 di Modena, 32 di Bologna e 26 di Parma (media regionale 24, nazionale 22).
Nel Dossier di candidatura del Comune di Rimini a Capitale italiana della cultura 2026 c’è un capitolo dedicato ad “un Piano strategico per la Cultura” in cui si propone un Osservatorio permanente delle realtà e operatori culturali, l’avvio di tavoli di lavoro, incontri e confronti. Poco citate sono, invece, le periferie, se non per l’individuazione di luoghi in cui street artist (artisti di strada) verranno invitati a realizzare le loro opere, in accompagnamento al percorso del Metromare. Rendere esteticamente più accattivanti alcune facciate delle periferie è importante, ma non aiuterà a recuperare l’assenza di luoghi di cultura.
Oggi i quartieri, dopo la chiusura delle biblioteche di Miramare e Viserba, sono dei deserti culturali e sociali. Perché le biblioteche sono presidi culturali, ma anche sociali. E l’ultimo anno il 90% dei cittadini non ha mai messo piede in una biblioteca. La candidatura di Rimini potrebbe essere l’occasione per disegnare ed aprire una rete di Poli civici e culturali, con annesse biblioteche contemporanee, cioè piazze del sapere, come sta facendo il Comune di Roma, con finanziamenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). Luoghi in cui non solo trasmettere cultura, ma fare cultura, con spazi aperti alla creatività, in particolare giovanile, ai nuovi linguaggi e alle attività performative. Luoghi di incontro, meglio salotti cittadini, al servizio dei residenti, che rimarranno come eredità della candidatura, ci auguriamo con esito, a Capitale della cultura.