LA STORIA. 128 ragazzi ritornati alla vita a Rimini dopo il tunnel delle dipendenze
Alle spalle ha trent’anni di dipendenza dalla droga, che non si cancellano con un colpo di spugna. “ Ora ritorno alla vita normale, quella fatta di sacrifici, di fatica e di bellezza”.
Michele, 53 anni, è originario di Crema. Per trent’anni è stato operaio saldatore, dopo aver terminato il percorso nella comunità terapeutica Papa Giovanni XXIII è atteso da un bivio: tornare al lavoro o restare nell’ambito del volontariato. “ Sono indeciso. La prima opzione è una vita mia, ma il volontariato non mi dispiacerebbe: l’ho già praticato da tempo”.
Una certezza però Michele ce l’ha: “Resterò ad abitare nel territorio riminese”. Quando gli domandi qual è l’aspetto più importante riscoperto in queste stagioni di comunità, non esita: “ L’amicizia. In certi ambiti sparisce. Qui ho trovato persone che mi hanno voluto bene comunque, anche quando rispondevi storto o ti comportavi male. E mi sono state vicino”.
Tary è nata in Colombia ma è stata adottata in Italia a soli due mesi. A 11 anni ha iniziato per gioco a fumare canne e bere alcolici, una strada che non ha più abbandonato ed è diventata sempre più in salita.
“ A 19 anni ero finita per strada” ammette. Un primo tentativo di uscire dal tunnel l’ha fatto a San Patrignano dal 2009 al 2014. “ Sono uscita da SanPa a 24 anni. – racconta Tary, capelli corvini e occhi penetranti –
Dopo un lustro in comunità, così giovane, avevo voglia di divertirmi, di non sentirmi diversa dagli altri ragazzi, di non fare la figura della sfigata.
Ricadere è stato un attimo.
L’alcol è stato il trampolino di lancio per ritornare alle sostanze stupefacenti. Ragazzi, non sottovalutate i rischi!”.
Oggi Tary ha 35 anni e si lascia alle spalle tre stagioni nella comunità terapeutica Papa Giovanni XXIII. “ Ho fatto del male alle persone che mi volevano bene, in particolare i miei genitori e la famiglia, ma quando sei schiava pensi solo a te stessa.
Per fortuna è arrivato un momento in cui mi sono fidata, ho colto l’aiuto che mi arrivava, ho accettato i miei limiti, ho preso in mano il desiderio di cambiare. Ed eccomi qua, pronta a ricominciare daccapo”.
Michele e Tary sono alcuni dei 120 ragazzi (65 italiani, il resto stranieri) liberati da dipendenze patologiche che a Santo Stefano a Rimini, nella parrocchia della Grotta Rossa, hanno festeggiato l’uscita dal tunnel.
La Festa del Riconoscimento è stata pensata, voluta, e celebrata per primo da don Orenze Benzi per riconoscere e gioire alla mensa di Cristo con i giovani e le giovani giunti al termine del percorso di recupero dalla dipendenza.
Una tradizione lunga 39 anni: la prima messa del Riconoscimento fu celebrata da don Oreste nel 1984, con i primi 7 ragazzi liberati dalla droga.
Il percorso di recupero della comunità terapeutica Papa Giovanni XXIII dura in media 3 anni e che è costituito da tre fasi:
l’accoglienza, la comunità, il rientro. Al termine dell’ultima fase, quella del rientro alla vita sociale, la persona riceve il riconoscimento: è il punto di partenza di una nuova vita, una rinascita che non è solo per il singolo ma per la sua famiglia e per tutta la Comunità. Un riconoscimento della propria vittoria personale su droga e alcool, gioco d’azzardo e altre dipendenze.
Valerio, 34 anni, è un altro dei 120 ragazzi che festeggiano il Riconoscimento 2023. Anche lui è al secondo tentativo. “ La prima volta in comunità fu a San Mauro, nel 2018. Sono durato appena sei mesi, la voglia di sostanze era troppo forte”.
Occhiali appoggiati in testa, capelli cortissimi e sguardo sbarazzino, Valerio è di origine marchigiana. Le sostanze le ha abbracciate da ragazzino: prima hashish e marijuana per passare poi ad anfetamine ed ecstasy e raggiungere eroina e crack fino all’età di 31 anni.
Nel 2021 ha detto basta. “ Basta con una vita fatta di giorni sempre uguali, di autodistruzione alla ricerca di roba, lontano dalla famiglia e da chi ti vuole bene. La prima volta mi hanno spinto in comunità in tutte le maniere, alla Papa Giovanni XXIII ho bussato io”. Valerio vuole lanciare un messaggio ai ragazzi che sono ancora intrappolati nel tunnel. “ Per risalire ci vuole tempo ma si può fare. E non siete soli. Il Riconoscimento è sinonimo di libertà, di alzarsi al mattino senza gli oneri della dipendenza: posso sentirmi me stesso, vivo. La vita è una e unica, non va sprecata”.