Mentre le alte sfere governative si dilettano sui massimi sistemi giudiziari, non senza far trasparire una certa idea di rivalsa contro l’autonomia dei giudici se non interpretano ‘a dovere’ le misure governative, la giustizia terrena, quella del Tribunale sotto casa, che interessa la vita reale di cittadini e imprese, scorre desolatamente sui binari di sempre. Un’ultima conferma la ritroviamo nella dichiarazione di prescrizione per il reato di aggiotaggio, che sta per manipolazione del mercato per la diffusione di dati non veritieri dei bilanci Carim 2013 e 2014, emessa dal Tribunale di Rimini il 28 novembre scorso a favore dell’ex direttore Carim Alberto Mocchi e l’ex presidente Sido Bonfatti. Non è stata invece accolta, dallo stesso collegio, ma è una magra consolazione, la richiesta, degli avvocati difensori, di assoluzione degli imputati per non aver commesso il fatto. In quale, quindi non viene escluso. Però la giustizia è lenta e in sei anni, il tempo della prescrizione, non è riuscita ad arrivare in tempo ad emettere una sentenza. Tempi di prescrizione, è bene precisarlo, che non sono decisi dai giudici ma dai governi (nel caso il fu Governo Berlusconi).
In ordine di tempo è la seconda prescrizione targata Carim: la prima è avvenuta in riferimento al reato di false comunicazioni sociali per un comunicato del 2010, dove si davano informazioni sbagliate. Ancora una volta, però, sei anni non sono bastati per emettere un verdetto. Prescrizioni che fanno il paio con la sentenza di assoluzione, emessa dal Tribunale di Rimini nel 2018 a favore di 23 ex amministratori, perché nonostante le numerose manomissioni contabili (basta ricordare che un presunto ed euforico utile di 18 milioni di euro, scritto a bilancio nel 2009, ad un serio ricalcolo si è trasformato in 30 milioni di perdite) non era stata superata la soglia di punibilità (calcolata su un campione di clientela e non sul totale) prevista per legge.
Resta, ma anche qui tutte le previsioni puntano diritto ad una ennesima prescrizione, un ultimo spezzone di processo, il Carim 1, contro gli ex amministratori, assolti in primo grado nel 2018, ancora all’esame della Corte d’Appello di Bologna, dopo il ricorso del Pubblico Ministero. Se anche questo si prescriverà siamo ad un vero e proprio ‘liberi tutti’. Meno per i 7.000 piccoli azionisti, che hanno perso i loro risparmi (al tempo del crollo Carim il valore delle azioni è scivolato da 21 a 0,194 euro), e per la banca Eticredito che ci ha rimesso l’intero capitale sociale, ben 14 milioni di euro. Rimane l’amara percezione, stando all’esito di questa giustizia, che Carim sia caduta da sola, mentre gli amministratori giocavano con i numeri dei bilanci, mettendo un più e un meno secondo l’umore del momento, incuranti delle conseguenze. Così non è strano, anzi quasi normale, che a rimetterci siano sempre i piccoli risparmiatori, come bene mostra l’ultimo film di Albanese Le cento domeniche, dedicato a vicende venete dello stesso tenore.
PS: gli abbonati de Il Ponte possono ritirare una copia gratuita del libro CARIM: ascesa e caduta di una banca del territorio, di Primo Silvestri, presso la redazione del giornale.