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Uomo d’acciaio dal cuore d’oro

Un uomo d’acciaio dal cuore d’oro. Che ha vissuto l’orrore della guerra e del distaccamento dai propri cari. Ma che ha trovato nello sport e, soprattutto nell’amore di Bruna e dei tre figli, la pagina più bella della sua vita. Mario Mazzotti, il prossimo 8 dicembre, spegnerà 85 candeline, ma di fermarsi non ne ha proprio voglia. È un vulcano di idee sempre in movimento.

Da dove vogliamo iniziare?

“Da quell’8 dicembre del 1938 quando mio padre Carlo e mia mamma Giuseppina, con l’aiuto del buon Dio, mi fecero il regalo più grande che esista: la vita.

Da quei giorni spensierati a San Martino Monte l’Abate dove io, gli altri miei 8 fratelli, i miei genitori e i nonni materni e paterni, vivevamo insieme. Ero piccolo, ma mi ricordo la gioia e soprattutto i sacrifici che i grandi facevano per darci l’opportunità tutti i giorni di mettere qualcosa sotto i denti”.

Una spensieratezza durata troppo poco.

“La Seconda Guerra Mondiale è arrivata nella mia vita come un fulmine a ciel sereno. Come tanti riminesi fummo costretti a trovar rifugio nelle gallerie del trenino di San Marino. Furono mesi difficili, ricordo ancora i morsi della fame, ma anche il grande senso di fratellanza che c’era tra tutti noi: ognuno si preoccupava dell’altro, soprattutto le donne facevano a turno per badare noi più piccoli mentre gli uomini andavano a cercare cibo”.

Finita la guerra tornò a Rimini, ma ci rimase poco.

“Mio padre e mia madre non potevano mantenerci tutti e così decisero di mandarmi in collegio a Gatteo. Rimasi lì dai 7 ai 12 anni, fu un periodo durissimo, ma molto formativo”.

Ma che non portò a termine, giusto?

“Esattamente. Mio padre, un giorno, mi chiamò e mi disse che le 5.000 lire occorrenti per l’iscrizione servivano per mangiare. Così iniziai a lavorare. Il mio primo impiego fu il fornaio, portavo a casa diversi soldini e un chilo di pane tutti i giorni che a quel tempo era un lusso. Poi feci anche l’idraulico fino a 19 anni quando venni chiamato a fare il militare. Di ritorno dalla leva mi trasferii in Svizzera e poi mi imbarcai sulle navi mercantili. Insomma, mi sono sempre dato da fare”.

Trovando il tempo anche per lo sport.

“A 16 anni mi sentivo l’argento vivo addosso, avevo voglia di scaricare la mia rabbia e così andai alla Libertas dove incontrai il maestro di boxe Angelo Angelini che per me, come per tanti altri giovani, è stata una figura fondamentale. Quasi un secondo padre. Si preoccupava di tutti. Ci seguiva, ci accudiva, cercava di trovare un lavoro a chi non lo aveva. Proprio per questo mi farebbe piacere che venisse ricordato come merita. Molti pugili che magari non hanno sfondato, gli devono tanto. Qualcuno anche la vita.

Mi auguro che prima o poi il suo nome abbia il risalto che merita”.

Torniamo a lei. Tra poco compirà 85 anni, ma a fine dicembre c’è un’altra data importante.

Il 30 io e Bruna, mia moglie, festeggeremo i 56 anni di matrimonio”.

Ma è vero che il vostro è stato un incontro casuale?

“Sì. Un pomeriggio un mio carissimo amico mi disse che la sera doveva andare a ballare insieme a una ragazza che, però, aveva con lei un’amica e lui non sapeva come fare. Mario, non è che mi faresti il favore di venire con me? Io gli dissi di sì e ancora oggi lo ringrazio per quell’invito. Da quella sera, io e Bruna, praticamente non ci siamo più lasciati”.

Una splendida avventura impreziosita dalla nascita di tre figli.

“Tatiana, Arianna e Carlo che ci hanno regalato anche la gioia di diventare nonni”.

A proposito, il matrimonio e l’arrivo di Tatiana l’hanno convinta a tornare con i piedi per terra, nel vero senso della parola.

(ride), non sopportavo la lontananza, mia moglie e mia figlia mi mancavano troppo e così decisi di non imbarcarmi più. Trovai lavoro presso la Società dell’Acqua, mi occupavo di fare gli impianti, un lavoro massacrante, badile e piccone tutto il giorno. Ricordo che tornavo a casa con le braccia così distrutte che mia moglie doveva imboccarmi. Non era più una vita normale, così una sera dissi alla Bruna: Ascolta, voglio tornare a scuola e prendermi un diploma”.

Altra sfida, altra vittoria.

“Ho fatto le tre medie in due anni andando a scuola alle Acli, poi sono andato alla ‘Guido D’Arezzo’ dove ho fatto tutte e cinque le superiori diplomandomi geometra. Mi iscrissi anche a Geologia, all’Università di Urbino, ma c’erano due laboratori dove serviva la frequentazione obbligatoria, inoltre ero fuori corso e perciò unendo le due cose, ho deciso di rinunciare a questo sogno che però conservo ancora nel cassetto e non è detto che non provi a ritirarlo fuori. Anche perché mi piace conoscere le cose, dare risposte a domande che mi pongo in continuazione. Per questo devo dire un grosso grazie a quegli anni di collegio che mi hanno veramente dato delle basi culturali solide e mi hanno insegnato a ragionare su ogni minima cosa”.

Tornando allo sport, è stato campione italiano di triathlon alla veneranda età di 77 anni e ha partecipato a ben 8 Ironman.

“Anche in questo caso è stato un amico a invitarmi. Sapeva che nuotavo e così mi ha chiesto se volessi provare questa nuova disciplina. Ho iniziato per gioco ma subito mi sono appassionato. All’inizio è stato faticoso perché ho dovuto imparare ad andare in bicicletta e anche a correre, ma ho dovuto rivedere anche il mio modo di nuotare. Però finché è durato è stato bello. Durante tutte quelle ore da solo pregavo, recitavo il Rosario e ringraziavo, come lo ringrazio oggi, il buon Dio per tutto quello che mi ha donato. Posso permettermi una cosa?”.

Prego, ci mancherebbe.

“È una richiesta che non so se si possa esaudire, ma mi farebbe molto piacere. Come ricordavo, sono stato anche un pugile dilettante. Potevo avere una buona carriera, ma poi la vita mi ha messo davanti altre priorità. Però ho conosciuto tanti amici che sono saliti sul ring tenendo alto il nome di Rimini anche se non sono diventati dei numero uno. Fino a pochi anni fa, per tutti loro, si celebrava una Santa Messa nella chiesa del cimitero di Rimini l’ultima domenica di ottobre. Ci deve essere ancora la lampada votiva in loro ricordo. Capisco che i sacerdoti sono sempre di meno, ma sarebbe bello se si potesse tornare a dire una messa per tutti i pugili defunti”.