di Andrea Turchini
Da due giorni è partita la conta dei morti e dei feriti sull’uno e sull’altro fronte: sono centinaia i primi; migliaia i secondi. In queste ore Israele si sta preparando ad agire nel territorio di Gaza e si prepara un bagno di sangue sull’uno e sull’altro fronte, senza contare tutti quelli che rimarranno colpiti da questa violenza esagerata che sembra essere l’unica risposta possibile alla violenza subita.
È una spirale di violenza che non comincia in questi giorni e solo gli ingenui o i totalmente disinformati possono pensare che l’attacco di Hamas in territorio israeliano sia nato dal nulla e non venga considerato dai suoi fautori una risposta alla tanta violenza subita in anni di confinamento forzato nella cosiddetta striscia di Gaza (due milioni di persone in un territorio di appena 360 kmq). Violenza chiama violenza, sempre più forte, sempre più spietata, con sempre più vittime… Io oso sognare e sperare per un territorio dove – forse – sono rimasti solo gli incubi e la speranza è solo quella di sopravvivere un altro giorno.
Sogno che il governo di Israele, con il sostegno di tanti dei suoi cittadini, a fronte del gravissimo attacco subito sul suo territorio, si prenda un tempo di silenzio; non faccia partire aerei da caccia e carri armati, che non raduni l’esercito per una battaglia, ma proclami una settimana di lutto, di silenzio, di digiuno e di preghiera per tutti coloro che vivono in Israele. In questa settimana si condivida in profondità il dolore delle famiglie delle vittime, l’angoscia dei famigliari delle persone rapite, la preoccupazione delle persone che sono state ferite e delle loro famiglie.
In questa stessa settimana si chieda anche ai palestinesi di fare silenzio, di digiunare e di pregare, stringendosi attorno a tutti coloro che piangono dei morti, che sono in angoscia per i loro figli incarcerati arbitrariamente in Israele, per le persone che sono state ferite e per le loro famiglie.
Alla fine di questa settimana si organizzi un grande incontro pubblico (sarebbe bello se fosse sulla grande spianata delle moschee, luogo in cui un tempo era edificato il tempio di Israele); durante questo incontro tutti i politici tacciono e parlano solamente le madri di coloro che sono stati uccisi, le sorelle di coloro che sono in carcere, le mogli delle persone ferite, i figli di coloro sono morti da entrambe le parti… e tutti ascoltano in silenzio il dolore di queste persone, indipendentemente dalla loro nazionalità o religione (se la religione c’entra qualcosa in questo conflitto). Alla fine di questo grande incontro sogno che tutte queste donne e queste persone ferite dal lutto e dal dolore, sia israeliane sia palestinesi, si abbraccino tra di loro e, insieme, si rivolgano ai loro politici perché trovino una modalità per far cessare le violenze, perché non ci siano più altre madri o altri padri, altri figli, altre mogli o altri mariti che debbano piangere la morte assurda dei propri cari.
Sogno che quei governanti, anche loro forgiati dal silenzio, dal digiuno e dalla preghiera, si commuovano profondamente e, sedendosi intorno ad un tavolo, trovino una soluzione giusta che faccia cessare questo conflitto e che dia inizio ad un tempo di pace e di pacifica convivenza (una terra, due stati; una terra due popoli).
Solo quando ascolto il dolore dell’altro e mi accorgo che è il mio stesso dolore, il mio risentimento e il mio desiderio di vendetta si può convertire in un impegno per la pace e per la riconciliazione. E’ accaduto in molte parti della Terra; sogno possa accadere anche tra Israele e Palestina.
“Oggi da molte parti si reclama maggiore sicurezza. Ma fino a quando non si eliminano l’esclusione e l’inequità nella società e tra i diversi popoli sarà impossibile sradicare la violenza. Si accusano della violenza i poveri e le popolazioni più povere, ma, senza uguaglianza di opportunità, le diverse forme di aggressione e di guerra troveranno un terreno fertile che prima o poi provocherà l’esplosione. Quando la società – locale, nazionale o mondiale – abbandona nella periferia una parte di sé, non vi saranno programmi politici, né forze dell’ordine o di intelligence che possano assicurare illimitatamente la tranquillità.
Ciò non accade soltanto perché l’inequità provoca la reazione violenta di quanti sono esclusi dal sistema, bensì perché il sistema sociale ed economico è ingiusto alla radice.
Come il bene tende a comunicarsi, così il male a cui si acconsente, cioè l’ingiustizia, tende ad espandere la sua forza nociva e a scardinare silenziosamente le basi di qualsiasi sistema politico e sociale, per quanto solido possa apparire. Se ogni azione ha delle conseguenze, un male annidato nelle strutture di una società contiene sempre un potenziale di dissoluzione e di morte. È il male cristallizzato nelle strutture sociali ingiuste, a partire dal quale non ci si può attendere un futuro migliore”. (Evangelii gaudium 59) A qualcuno questo sogno può sembrare ingenuo, irrealistico, fantasioso… ma mi piace pensare che potrebbe essere anche il sogno di Dio, che piange per tutti morti di ogni parte del fronte, che è accanto a coloro che sono angosciati per i loro cari che sono stati rapiti, che consola coloro che soffrono perché sono stati feriti.
Nei Salmi della Bibbia più volte si ripete che Dio ascolta il dolore e la preghiera dei suoi figli e delle sue figlie, soprattutto quando soffrono e sono nel bisogno (sono poveri). In quella stessa Terra in cui Lui ha vissuto il dolore per la morte del proprio Figlio Unigenito, benedirà ogni persona che percorre la via della riconciliazione e delle pace che, secondo la logica del Vangelo, non sono mai una fantasia o un’ingenuità.