Il ritorno alla Chiesa di un protagonista del Novecento attraverso le 160 lettere del sacerdote riccionese
Il fondatore della prima Democrazia Cristiana e l’amicizia con il prete di San Lorenzino
La prima lettera è del 22 febbraio 1937.
Don Giovanni Montali, il parroco di San Lorenzo in Strada di Riccione, scrive a Romolo Murri, il prete marchigiano fondatore della prima Democrazia cristiana. Il movimento era sorto dentro l’Opera dei Congressi e dei Comitati cattolici (1875) con l’obiettivo di formare un partito che entrasse nell’agone politico con un programma riformatore, superando così il divieto (il non expedit) per i cattolici di prendere parte alle vicende politiche. Che era stata la risposta della Chiesa al modo in cui era stata risolta la questione romana. A Rimini c’era stato il primo tentativo di dare sostanza a questa intenzione, nella Sala degli Artisti della Chiesa del Suffragio, dopo il celebre discorso tenuto da Murri nella vicina Repubblica di San Marino, dal titolo emblematico, “Libertà e cristianesimo”, ma il discorso era stato sconfessato dalla curia romana così come era stato sconfessato il tentativo di avviare l’esperienza di un nuovo partito.
Anche l’Opera dei Congressi, troppo influenzata dai giovani murriani, era stata sciolta. Il contrasto si era radicalizzato quando Murri si era presentato candidato alle elezioni politiche nel 1909 come esponente della Lega democratico-cristiana, contravvenendo alle disposizioni vaticane. Era venuta la sospensione a divinis e la scomunica: Murri era da considerare un eretico con il quale era vietato intrattenere rapporti. Sospeso a divinis Murri si era sposato e, non rieletto in parlamento per l’opposizione di un fronte cattolico-moderato, frutto del cosiddetto Patto Gentiloni, era diventato notista de «il Resto del Carlino» e saggista di un certo successo.
Nonostante la frattura traumatica, ancora molti erano coloro, preti e laici, che lo consideravano un ispiratore e che ritenevano ingiusto considerarlo un “modernista”. Non aspirava, infatti, ad una riforma radicale della Chiesa, ma intendeva intervenire sul piano politico e sociale applicando i principi della dottrina sociale della Chiesa. Cosa che riuscirà a don Luigi Sturzo, dieci anni più tardi con l’“Appello ai liberi e ai forti” e la nascita del Partito popolare italiano, essendo mutati sensibilmente gli orientamenti della Santa Sede nei nuovi scenari politici.
Quando fu spedita la lettera di don Montali che dà inizio alla raccolta, erano passati ormai molti anni dai giorni dei duri contrasti ecclesiali. Nonostante le disavventure, Murri era rimasto credente ed era giunto ad una stagione della vita in cui cominciava a fare i bilanci di un’intera esistenza e sognava di ritornare nella piena comunione ecclesiale, senza abiurare alle ragioni che lo avevano portato a entrare in rotta di collisione con la curia romana e con Pio X.
La lettera di Montali esprime la gioia di averlo incontrato a Roma, dopo aver desiderato l’evento per anni. La ragione è presto detta: «Se ho avuto un carattere, se ho lavorato un poco nella mia vita – confessa – se ho potuto fronteggiare lotte anche vivaci nella mia posizione di parroco, lo debbo in gran parte alla mia formazione che ho fatto sui tuoi libri e sui tuoi scritti. Mi hanno fatto tanto piacere le affermazioni che ti senti cattolico e che i tuoi volumi di prossima pubblicazione hanno un contenuto profondamente cattolico».
Il carteggio proseguirà sino al 22 agosto 1944. In totale 160 lettere di Montali a Murri (solo 7 quelle di Murri a Montali) conservate nell’Archivio della Fondazione Romolo Murri nell’Università di Urbino; la Fondazione, voluta da don Lorenzo Bedeschi, docente di Storia Moderna, che raccoglie migliaia di lettere di preti considerati allora modernisti.
Le lettere di Montali, riunite in volume nelle edizioni Pazzini ( Come discepolo a maestro – Lettere inedite, 1947 – 1944) e annotate da don Gabriele Gozzi, docente di Storia Contemporanea presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Alberto Marvelli” di Rimini- San Marino, sono introdotte da Paolo Trionfini, professore di Storia Contemporanea presso l’Università di Parma e direttore dell’Isacem (Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del Movimento cattolico in Italia “Paolo VI”). La nota redazionale è di Cinzia Montevecchi e di Natalino Valentini.
Firma la prefazione del volume la professoressa Sandra Villa assessore alla Cultura del Comune di Riccione, che in occasione della celebrazione dei cent’anni dall’istituzione della sua autonomia amministrativa, ha dato un decisivo contributo finanziario alla pubblicazione.
Le lettere offrono uno spaccato inedito su di un quinquennio cupo: proprio nel 1937 Mussolini e Hitler si incontrarono a Monaco e stabilirono un’intesa destinata a sfociare nel cosiddetto “Patto d’acciaio” (Staypack),
firmato a Berlino nel maggio del 1939.
Nell’anno che seguì l’incontro di Monaco venne varata in Italia una serie di provvedimenti antisemiti: vennero espulsi gli ebrei stranieri, quelli italiani vennero esclusi dall’insegnamento nelle scuole statali, non potevano frequentare le scuole secondarie pubbliche e nelle elementari vennero raggruppati in sezioni speciali. Era l’inizio di una deriva che porterà alla Seconda Guerra Mondiale e alla catastrofe finale: pesantissimi per la popolazione i lunghi mesi di guerra anche in Italia e drammatiche le prime grandi deportazioni degli ebrei nei lager tedeschi.
L’occupazione della Norvegia, patria della moglie di Murri, i bombardamenti di Roma, la pesante situazione dei Riminesi e dello stesso Montali, vessato dalla polizia fascista fanno da tragico sfondo alla vicenda privata del prete marchigiano.
Nel 1942 (quando l’epistolario si fece più raro e si interruppe per qualche tempo) la guerra cominciava a volgere a favore degli alleati angloamericani. Rimini era quotidiano bersaglio delle fortezze volanti alleate che rasero al suolo la città. L’Italia era divisa in due e le poste non funzionavano se non a singhiozzo… Murri morì a 73 anni, in conseguenza di gravi problemi cardio-vascolari, nel marzo del 1944. Non poté brindare alla fine di una guerra inutile e disastrosa, ma aveva ricevuto il dono che attendeva. Il papa Pio XII, conosciute le sue precarie condizioni di salute, gli aveva revocato la scomunica senza chiedergli ritrattazioni. Nella lettera inviata il 16 dicembre 1943, Montali accoglieva con lacrime di gioia la notizia: «Ho versato lacrime di commozione, mi rallegro per la tua dignitosa conciliazione con la Chiesa e col Papa, che è stato buono e che ti avrà voluto compensare dei dolori provati in passato».
Era l’auspicata conclusione di anni di impegno.
Dalle lettere infatti emerge la cura premurosa di Montali per l’esito positivo della vicenda. Non solo era rimasto vicino al maestro nell’attesa di una risposta positiva della curia alla richiesta di essere riammesso nella Chiesa come semplice fedele; non solo aveva cercato tutti i modi di creare occasioni di incontro, nonostante il divieto della curia romana, ma aveva anche coinvolto le sue molte conoscenze, perché i libri di Murri venissero recensiti sulle riviste cattoliche, creando un clima favorevole al suo ritorno nella Chiesa.
Pur vivendo appartato nella sua parrocchia di Riccione, infatti, come traduttore dal francese di opere teologiche, liturgiche e spirituali di autori francesi per editrici importanti (SEI, Morcelliana…) aveva stretto rapporti con teologi, vescovi e sacerdoti operanti persino negli uffici vaticani. Basti ricordare qui padre Agostino Gemelli, rettore dell’Università cattolica di Milano, i filosofi Luigi Olgiati e Giuseppe Zambon, il giornalista Igino Giordani che sarà il fondatore con Chiara Lubich del Movimento dei Focolari, mons. Marcello Mimmi, arcivescovo di Bari. Murri ricambia con lunghe e dotte introduzioni ai testi che il parroco di San Lorenzo traduceva dal francese, ma le firma con una M puntata – che per un lettore ignaro poteva essere l’iniziale di Montali – per non mettere in difficoltà l’amico.
Non mancano nelle lettere di Montali cenni alla situazione riminese. Amava il suo lavoro pastorale tra una popolazione di mezzadri, di braccianti e di pescatori e le sue omelie erano seguitissime, ma non era molto apprezzato dal severo vicario diocesano, il soglianese mons. Michele Rubertini, mentre il vescovo Scozzoli lo teneva in grande considerazione, al punto di invitarlo a scrivere frequentemente, sul diocesano «Diario cattolico», articoli molto netti contro la brutalità dei totalitarismi e a favore degli ebrei che cercavano rifugio dalle deportazioni, nella scia dell’enciclica Mit Brennender Sorge (Con bruciante preoccupazione) di Pio XI che aveva condannato con parole inequivocabili ogni forma di razzismo («Spiritualmente siamo semiti»). Per il suo impegno assiduo (assieme al santarcangiolese Rino Molari, imprigionato e poi fucilato a Fossoli) a favore degli ebrei, solo fortunosamente era riuscito a sottrarsi alla cattura dei nazifascisti, ma aveva pagato duramente la sua generosa dedizione: la sorella e il fratello erano stati barbaramente uccisi e i loro corpi gettati in un pozzo vicino alla chiesa.
Montali perdonò e non volle conoscere il nome degli assassini. Rimase ancora più vicino a quella porzione del popolo cristiano che servì, da sacerdote integerrimo, sino al 1959, anno della sua morte.
Piergiorgio Grassi