Nell’ultima serata del Music Festival di Turku il soprano norvegese Lise Davidsen spazia da Verdi a Puccini e Wagner
TURKU, 24 agosto 2023 – Serate come queste non sono frequenti. Gli interpreti vocali, anche i migliori, di solito si presentano insieme a un pianista di fiducia e affrontano le pagine a loro più familiari, certi di strappare l’applauso del pubblico. Maggiori incognite ci sono invece a esibirsi insieme all’orchestra e a delineare un percorso ben costruito, con un preciso significato musicale.
Il concerto di Lise Davidsen, trentaseienne soprano norvegese rivelatasi nel 2015 dopo la vittoria al concorso Operalia, e oggi acclamata in tutto il mondo soprattutto come interprete di Wagner e Strauss, ha concluso il Music Festival di Turku: del resto, nell’edizione 2022, la cantante – beniamina del pubblico scandinavo – era stata chiamata a inaugurarlo.
Con un programma articolato che spaziava da Verdi a Puccini, da Beethoven a Wagner, la Davidsen ha delineato un caleidoscopico ritratto di soprano drammatico, con alle spalle una scuola scandinava che – dalla Norvegia alla Svezia – ha sempre vantato esponenti di primissimo livello, a cominciare proprio dai soprani. Ad accompagnarla in questo excursus l’Orchestra Filarmonica di Turku guidata dallo spagnolo José Miguel Pérez-Sierra, che ha spesso lavorato anche in Italia.
Dopo l’introduzione affidata alla Sinfonia dalla Forza del destino, la Davidsen ha esordito con Vieni! t’affretta!, il soliloquio dove Lady Macbeth accarezza il suo sogno di potere. La sensibilità interpretativa e le qualità vocali della cantante sono apparse subito evidenti: fraseggio espressivo, volume notevole, registro grave ben timbrato, grande capacità di penetrazione sonora in acuto. Qualità confermate nel brano successivo, Tu che le vanità, l’aria di Elisabetta dal Don Carlo, assai difficile da interpretare soprattutto se estrapolata dal suo contesto. Nonostante ciò, la cantante ha saputo imprimere alla pagina accenti di nobilissima rassegnazione, gli stessi che poi ritorneranno – con intensità ancora maggiore – nella struggente Ave Maria: estrema preghiera di Desdemona, ormai consapevole che dovrà morire per mano di Otello.
Se la prima metà del concerto era interamente dedicata a Verdi, nella seconda parte il soprano ha affrontato numerosi autori, a iniziare da Fidelio, l’unica opera – ma un capolavoro straordinario! – composta da Beethoven. La sua è un’interpretazione potentissima: nella grande aria Abscheulicher! Wo eilst du hin… Komm Hoffnung (Scellerato, dove t’affretti?… Vieni speranza) la Davidsen ha delineato una Leonore ben risoluta nell’affrontare Pizarro, senza però trascurare i sentimenti della donna innamorata che si batte per ottenere la libertà del marito. Subito dopo, Puccini ha fatto emergere tutto il coinvolgimento emotivo dell’interprete: dapprima con l’angosciosa disperazione – solcata d’innumerevoli sfumature drammatiche – di Sola, perduta, abbandonata, in cui Manon Lescaut si rende conto che le resta poco da vivere, poi con Vissi d’arte, concepita più come dolente perorazione di Tosca rivolta a Dio che come urlo di ribellione per quanto il destino le ha riservato. Per completare il programma ha scelto invece un’aria leggera e divertente, scandita dal battimani del pubblico, come Heia! In den Bergen ist mein Heimatland tratto dalla Principessa della ciarda, brillante operetta musicata da Kálmán nel 1915 agli albori della grande guerra.
Wagner è arrivato soltanto nei bis, con cui la Davidsen ha posto l’ultimo prezioso tassello della sua ricognizione musicale. I due brani – di cui ha esaltato cantabilità e lirismo – che sono andati a completare questo ideale percorso provenivano dal Tannhäuser, l’inno alla casa (Dich, teuer Halle) di Elisabeth, e dal primo atto di Lohengrin, il sogno di Elsa (Einsam in trüben Tagen). Da notare, tra l’altro, che in Wagner l’orchestra si è rivelata particolarmente a suo agio, suonando con una maggiore idiomaticità rispetto al repertorio italiano.
Da parte sua, Pérez-Sierra è apparso soprattutto preoccupato di raccordare gli strumentisti fra loro e la solista con l’orchestra, così da porre meno attenzioni alle sfumature dinamiche. Un’occasione persa nella sinfonia dei Vespri siciliani e, ancor più, nel preludio di Aida. In compenso il direttore è sembrato assai compreso nell’Intermezzo tratto da La Boda de Luis Alonso: una zarzuela di Gerónimo Giménez del 1897, di cui ha saputo ben valorizzare i colori, inserita in programma per costituire un ideale pendant con l’operetta di Kálmán.
Una serata molto coinvolgente, da dove si esce appagati e con le idee più chiare sui sottili legami che legano autori in apparenza lontani fra loro. Merito – certo – del carisma di una grande interprete. Come la Davidsen.
Giulia Vannoni