L’attivismo sul tema dell’immigrazione, intesa come respingimenti o cash per trattenere lontano da noi gente in fuga, qualche dubbio lo pone. Almeno sull’obiettivo di distrarre l’attenzione da altro. Non a caso, con tutti i problemi del momento, da qualche tempo il tema degli immigrati come pericolo è tornato a fare breccia nell’opinione pubblica e, pare, non solo in Italia. Non che fosse del tutto scomparso nella propaganda politica, piuttosto era stato sopravanzato da altre paure, queste sì fondate e reali: prima la pandemia, poi la guerra.
Il Covid però è stato sostanzialmente sconfitto e alla guerra, purtroppo, si rischia di fare in qualche modo l’abitudine, se proprio non arriva dentro casa… Del resto la paura degli immigrati è al centro di un circolo vizioso da cui è difficile uscire: gli stessi soggetti, politici e non, che riescono a inculcarla e ad alimentarla nell’opinione pubblica, poi ne sono fortemente condizionati perché si ritrovano a dover assecondare gli impulsi che essi stessi hanno sollecitato. Quando poi sono in vista dei passaggi elettorali – e tra un anno si voterà comunque in tutta l’Unione europea – il meccanismo diventa ancor più stringente. Ed è uno dei motivi per cui la Ue non riesce a imprimere una svolta effettiva alla politica migratoria, anzi compie un passo avanti e uno indietro, come ha dimostrato anche il recentissimo accordo di Bruxelles. “ Un compromesso cinico-politico”, lo ha definito il commissario europeo Paolo Gentiloni, ed è tutto dire.
Lo spauracchio degli stranieri fa leva su pulsioni così intense che diventa difficile contrastarlo con argomenti razionali, anche ponendosi non su un piano umanitario e solidale – che dovrebbe essere prioritario quando si tratta di persone – ma su quello dell’economia. La situazione demografica del nostro Paese, per esempio, rende assolutamente necessario il contributo degli immigrati.
Sono mesi che lo ripetono imprenditori e associazioni di categoria. Anche investendo tutte le energie possibili sulla promozione della natalità, com’è doveroso fare, almeno nei prossimi vent’anni non si potrà contare “ su un aumento endogeno delle forze di lavoro”, per usare le parole di Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia. In uno scenario del genere – fermo restando il dovere universale di salvare e di accogliere chi è in fuga – la preoccupazione numero uno delle autorità politiche dovrebbe essere il potenziamento dei canali di ingresso regolari e dei percorsi d’integrazione. L’accento continua invece a essere posto su rimpatri e respingimenti, in ossequio a una narrazione che vede l’arrivo degli immigrati come un’invasione da contrastare con ogni mezzo, addirittura evocando lo spettro della “sostituzione etnica”. In realtà, mentre gli sbarchi aumentano e questo pone senza dubbio un problema in termini di accoglienza, il numero dei migranti effettivamente presenti sul territorio nazionale è dal 2018 che rimane sostanzialmente stabile, con poco meno di 6 milioni di presenze.