All’inizio del Novecento le imprese di Rimini cercavano calzolai, fornaciai (per fare i mattoni), fiammiferai, verniciatori, vetrai, carrettieri e gassisti. Ma, non diversamente da oggi, erano richiesti anche infermieri, muratori, tranvieri, spazzini, falegnami, cuochi e camerieri.
Questo è solo un piccolo spaccato di come il lavoro è cambiato, ma anche di come talune professioni siano rimaste, pur con tutti gli adattamenti intervenuti. Nel 2022 quasi tre imprese del territorio su quattro (ricordiamo che in provincia di Rimini sono attive 35.000 imprese) hanno manifestato, secondo l’indagine Excelsior di Unioncamere, l’intenzione di assumere, ma quattro su dieci hanno anche dichiarato che le figure che cercavano erano di difficile reperimento.
Siccome gli stessi numeri, solo con piccole differenze, si erano riscontrati nel 2021, è presumibile che la storia si ripeta anche per quest’anno. Che, cioè, il problema non sia passeggero, ma strutturale. Può consolare sapere che il problema non è solo riminese, perché le stesse difficoltà per trovare il personale giusto si riscontra a Modena, Reggio Emilia e Parma, che hanno un tessuto economico completamente differente.
E non è nemmeno italiano, se è vero che in Francia mancano 7.000 saldatori, non per unire banali pezzi di ferro, ma per settori altamente strategici come il nucleare e la difesa. In Germania cercano poco meno di 100.000 educatori e molti asili sono costretti a chiudere o ridurre il servizio. Molti, a questo punto, storceranno il naso e si chiederanno come sia possibile con tanta disoccupazione e tanti inattivi che non studiano e non lavorano (dal 2019 al 2022, gli inattivi in provincia di Rimini sono saliti da 58.000 a 64.000).
È possibile perché essere senza lavoro non significa avere le competenze giuste per essere assunti, oppure può anche succedere che alcune condizioni non siano più accettate. Tipico il caso del turismo. Poi c’è un terzo fattore di cui si tiene scarsamente conto: in provincia manca un governo del mercato del lavoro, un luogo che faccia incontrare chi offre (imprese) e domanda (la formazione) lavoro. Se ci fosse, forse, qualche disallineamento potrebbe essere evitato, o semplicemente anticipato con una buona programmazione.
Tornando ad Excelsior, le professioni più richieste a Rimini sono, in ordine d’importanza decrescente: addetti nelle attività di ristorazione, personale non qualificato nei servizi di pulizia, addetti alle vendite, conduttori di veicoli a motore, impiegati addetti all’accoglienza e all’informazione della clientela, personale non qualificato addetto allo spostamento e consegna merci (corrieri).
Di queste professioni, la più difficile da trovare, addirittura nel 60% dei casi, è quella dei conduttori di veicoli a motore, prevalentemente nell’industria. Le competenze richieste ad un livello medio-alto, oltre a saper svolgere i compiti specifici, sono: flessibilità e adattamento, lavorare in gruppo, lavorare in autonomia, capacità di risolvere problemi, conoscenza delle lingue, capacità digitali e matematiche. I settori che invece soffrono di più per la difficoltà di reperimento del personale idoneo sono: sanità e assistenza sociale, industria metalmeccanica, costruzioni, altri servizi e servizi avanzati alle imprese.
Purtroppo, e non è un bel segnale, solo per una assunzione su dieci le imprese prevedono l’applicazione di un contratto a tempo interminato, per tutto il resto domina il tempo determinato ed altre tipologie contrattuali ancora più precarie. Situazione che prevedibilmente non migliorerà con la nuova riforma introdotta dal Governo che ha reso ancora più agevole il tempo determinato e reintrodotto il pagamento del lavoro, soprattutto nel turismo, col sistema dei voucher, che non prevedono il pagamento della malattia, della disoccupazione e nemmeno la maturazione di ferie.
Per ultimo, ma non meno importante: solo per nove assunzioni su cento, sempre a Rimini, è richiesto il possesso della laurea, contro tredici a Modena e Reggio Emilia, dodici a Parma e venti a Bologna. Mancanza di opportunità che spinge tanti giovani riminesi (a laurearsi ogni anno sono più di 1.800) ad emigrare, anche all’estero.