LA TESTIMONIANZA. Elena Diotalevi, volontaria del servizio mensa, ha preso parte al convegno nazionale che si è tenuto dal 17 al 20 aprile a Salerno
Ciao Elena! Ci servirebbe qualcuno che venga al convegno nazionale della Caritas, sarà a Salerno dal 17 al 20 aprile e ci piacerebbe che fossi tu a venire!
“Sì, posso saltare le lezioni in università ed organizzarmi con lo studio, ci sono!”.
Questa fu la breve conversazione che ebbi con Mario Galasso, il direttore della Caritas di Rimini una sera di qualche mese fa e che fu l’incipit di un’esperienza completamente diversa e molto più bella di quella che mi sarei potuta immaginare.
Premettendo che non avevo mai partecipato ad un convegno prima di allora, nel mio immaginario associavo questa parola a grandi riunioni, uomini e donne in giacca e cravatta e tante cose tecniche di cui discutere.
Ammetto che questa idea un po’ mi intimoriva, dopotutto mi sono avvicinata alla Caritas da pochi mesi e il mio ruolo è fare il servizio mensa il sabato mattina. Cosa avrei capito di ciò che si sarebbe detto? Come avrei potuto rendere la mia presenza utile in quei momenti? E soprattutto, come potrò far fruttare tutto quello che ascolterò?
Per fortuna la realtà è stata ben diversa dallo scenario che avevo ideato, semplicemente perché si è trattato di un tema che non mi sarei aspettata, ma che in realtà è insito alla Caritas stessa: le persone. Si è parlato di persone, non di regole, non di cose tecniche, non di numeri, non di libri e di nient’altro. È stato dato rilievo ovviamente alle persone che hanno incontrato Caritas, nei modi più disparati, in effetti il tema del convegno era proprio Agli incroci delle strade: abitare il territorio, abitare le relazioni.
Ho trovato che il tema, non solo era seguito come traccia dai bravissimi relatori che si sono succeduti giorno dopo giorno, ma che anche tra noi partecipanti nonché pubblico e spettatori, c’era un clima di incontro. Infatti nonostante fossi una delle più giovani e ricoprissi un ruolo non dirigenziale o amministrativo, come invece molti dei presenti che ho potuto conoscere, nessuno mancava mai l’occasione di presentarsi o di scambiare due chiacchiere con me. Non potrei nemmeno pensare di provare a riportare tutte le belle esperienze che sono state raccontate e non penso riuscirei a riportarle con l’intensità con cui le ho vissute, non mi rimane quindi che descrivere emozioni, pensieri e idee, forse poche e scontate, che mi sono rimaste impresse.
A partire dal primo giorno, anzi dal primissimo momento che abbiamo condiviso tutti insieme (intendo dire davvero tutti, c’erano rappresentanze della Caritas da tutta Italia).
Voglio ricordare l’intervento di monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli (arcivescovo di Gorizia e presidente di Caritas Italiana),
il quale ha sottolineato un aspetto dei servizi Caritas che non avevo mai considerato. Ha evidenziato infatti una prospettiva ‘negativa’: il futuro più auspicabile per Caritas è quello di diventare ‘inutile’.
Va bene proporre i servizi e che siamo chiamati, in quanto uomini e in quanto cristiani, a mettere in atto nel migliore dei modi possibili, ma monsignor Redaelli ha poi sottolineato che la Caritas esiste, perché esistono persone che ne hanno bisogno, ma che questa situazione non è la migliore che possiamo immaginare, dobbiamo infatti pensare più in grande e tendere ad annullare la povertà ‘a monte’, cioè dove la povertà, la solitudine e i disagi si creano.
Mi permetto di fare un collegamento con la testimonianza di Blessing Okoedion, una donna ex prostituita, e suor Rita Giarretta, la quale, dopo che Blessing aveva raccontato la sua tremenda storia da persona schiavizzata e sfruttata, ha sottolineato come persone con la stessa storia di Blessing siano da soccorrere ed aiutare, ma sia anche da risolvere una volta per tutte il grosso problema dei trafficanti di uomini, donne e prostitute e come la Chiesa non si stia esponendo abbastanza riguardo questo tema, dal quale forse si sente troppo poco toccata.
Ammetto che le testimonianze sono state per me la parte più coinvolgente e voglio riportare anche quella di Salvatore Ferrino che lavora in Caritas come educatore alla pari, ma che in passato è stato aiutato dalle persone che ha incontrato in Caritas più di chiunque altro prima. Raccontando la sua storia, Salvatore, ha detto che quando è arrivato in Caritas non si sentiva una persona, ma soltanto un rifiuto da cui stare alla larga, perché era così che l’avevano fatto sentire tutti a causa dei suoi discutibili comportamenti. Quando ha varcato la porta della Caritas aspettandosi del cibo con cui saziarsi, ha invece trovato delle persone che si rivolgevano a lui trattandolo da persona. Può sembrare una cosa scontata, ma se tutti noi pensiamo alle nostre esperienze possiamo renderci conto di quanto in realtà, non sia per niente facile non guardare con sguardo giudicante le persone diverse da noi e avere pensieri del tipo: “se l’è cercata”, o “ha fatto le scelte sbagliate”, o ancora “tanto c’è la Caritas che pensa a lui”. Perché ecco che se, ognuno di noi fa una piccola parte o un gesto che sembra insignificante, improvvisamente e finalmente la Caritas diventa ‘inutile’.
Elena Diotalevi