Per quanto strano possa sembrare ci sono tanti giovanissimi stranieri, figli di immigrati, che sognano un futuro in altri paesi: capita al 59% degli alunni stranieri delle scuole secondarie d’Italia, che da grande pensano di andare a vivere all’estero. Ma chi pensa che questo sentimento nomade sia facilitato dal percorso migratorio dei genitori si sbaglia. Perché questa idea circola anche nella testa di tanti ragazzi italiani di nascita: ben il 42%. Più tra le donne, il 47%, meno tra gli uomini, il 34% (Istat, Rapporto annuale 2022, pag. 202).
Se tanti giovanissimi crescono con questo orizzonte davanti, sicuramente è per la percezione, già fatta propria nonostante l’età, che in questo paese non ci sono tutte quelle opportunità che sarebbero desiderabili. Non si spiegherebbe altrimenti il numero crescente di giovani italiani che negli ultimi anni hanno trasferito all’estero la loro residenza: 355.000, nella fascia 25-34 anni, nel periodo 2018-2020. Nel 2022 si sono cancellati dall’anagrafe, per un altro paese, 132.000 residenti, il numero più basso degli ultimi quattro anni. Partenze, per fortuna, compensate da un maggior numero di iscritti dall’estero. Un gruppo di dottori di ricerca, di cui tantissimi con voto di laurea compreso tra 110 e 110 e lode, interrogati, nel 2015, da AlmaLaurea, un consorzio di università che monitora l’inserimento occupazione dei laureati, dichiaravano, per tre quarti, che all’estero ci sono senz’altro maggiori opportunità per affermarsi.
Qualche mese fa, il presidente dell’Ordine dei medici di Rimini, Maurizio Grossi, intervistato, rispondeva “I medici ci sono però l’attrattiva presso il pubblico è sempre minore. Un tempo la convenzione calamitava i giovani medici, oggi molti pensano a professioni presso strutture private e abbiamo un numero sempre crescente che va a lavorare all’estero”.
In Italia c’è un problema di lavoro, ma anche di povertà lavorativa, che colpisce un giovane, di 18-24 anni, su sei: è tra le percentuali più alte d’Europa.
È vero, andare all’estero per un periodo può arricchire il percorso formativo. Avviene, ma con un forte squilibrio, vista la differenza tra i rimpatri e gli espatri quasi sempre negativa. Così nel periodo 2018-2020, abbiamo assistito ad una perdita di 260.000 giovani, di cui 91.000 diplomati e ben 76.000 laureati (Istat, Rapporto annuale 2021). Un’emigrazione che impoverisce il nostro mercato del lavoro e rappresenta una perdita netta tanto per il bilancio dello Stato, che per quello delle famiglie, dopo gli investimenti fatti per la loro formazione.
Attualmente, secondo l’ultimo Rapporto 2022 sugli italiani nel mondo, con dati 2021, stilato dalla Fondazione Migrantes, sono 5.8 milioni gli italiani residenti all’estero ed iscritti all’Aire (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero). Un dato che va preso come base minima perché tanti italiani migranti non si iscrivono a questa anagrafe. Un numero comunque già superiore ai cittadini stranieri regolarmente residenti in Italia, che sono 5.2 milioni.
Dal che si potrebbe dedurre che siamo più un paese di emigrazione che di immigrazione.
Ma la cosa più grave è che sono sempre più i giovani ad abbandonare l’Italia: nel 2021, il 42% di chi ha lasciato l’Italia aveva una età compresa tra 18 e 34 anni. Di tutti gli italiani che sono emigrati e risiedono, nel 2021, all’estero, 29.000 provengono dalla provincia di Rimini, con una crescita di 1.500 unità sull’anno precedente. Erano 20.000 nel 2013. Nell’ordine: Regno Unito, Argentina e Francia i destini preferiti dai riminesi.
Con questi numeri, Rimini, figura come la provincia col maggiore tasso migratorio, in rapporto alla popolazione, dell’Emilia Romagna: 8.4%, contro una media regionale del 5.4%. Tra i comuni capoluogo, invece, è in testa a tutti Rimini, con il 7.8% di residenti emigrati all’estero (11.718 in valore assoluto), seguita da Bologna con il 5.8%. Ma sono tre piccoli comuni dell’entroterra a registrare il tasso maggiore di emigrazione, sempre in rapporto ai residenti: San Leo 38%, Gemmano 37% e Talamello 26%.
Come mai la provincia di Rimini è così esposta al fenomeno migratorio dei suoi giovani?
In pochi numeri la spiegazione: siamo la provincia, in Emilia-Romagna, col tasso di occupazione giovanile (giovani di 25-34 anni che lavorano ogni cento) più basso e quello di disoccupazione più alto; la retribuzione media per un giovane dipendente di 20-29 anni è di poco superiore a 10.000 euro, a fronte di 15.000 euro nelle province emiliane; un laureato prende una retribuzione oraria lorda di 12 euro, che sale però a 15 euro da Bologna a Parma; nei rapporti di lavoro avviati nel periodo gennaio-giugno 2022 quelli a tempi indeterminato sono stati il 5% a Rimini, il 18% a Bologna, Modena, Reggio Emilia e Parma; i giovani che non studiano e non lavorano a Bologna sono l’11%, a Rimini superano il 19%.
Una sintesi quasi perfetta del disequilibrio regionale di opportunità che spinge tanti giovani a trasferirsi altrove. Spesso anche all’estero.
Situazione non ottimale, di cui però nessun governo locale pare volersi fare carico. Con o senza Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), che tra i sui obiettivi avrebbe anche quello di ridurre le diseguaglianze, territoriali e di opportunità.