All’Alighieri di Ravenna un nuovo allestimento del Barbiere di Siviglia con giovani interpreti per la regia di Luigi De Angelis
RAVENNA, 23 aprile 2023 – Da quando, dopo la Rossini renaissance, le partiture hanno cominciato ad essere eseguite nel rispetto delle edizioni critiche e sottratte ad arbitrii e approssimazioni degli interpreti, si pensava che pure dalle messe in scena sarebbero sparite quelle trovate platealmente farsesche che snaturavano i titoli comici rossiniani. E se opere come Il barbiere di Siviglia sono state così restituite alla loro autentica dimensione di capolavori musicali, bisogna prendere atto che questo periodo aureo – durato qualche decennio – si è ormai concluso: oggi molti allestimenti sono tornati a riproporre gag e inutili spiritosaggini che trovano ben poche giustificazioni nella musica.
Opera drammaturgi-camente perfetta, grazie ai versi di Sterbini, nel 1816 Il barbiere portava sulla scena mutamenti epocali. Il conflitto tra l’antico e il moderno non riguardava solo le inevitabili differenze generazionali, ma si estendeva a una più ampia sfera culturale e ai rapporti che regolavano l’intera società: alle spalle del libretto, del resto, c’è l’omonima commedia di Beaumarchais, che dava conto delle tensioni tra i diversi ceti alla vigilia della rivoluzione francese.
Il nuovo spettacolo visto all’Alighieri di Ravenna, frutto di una coproduzione con altri teatri, portava la firma dei Fanny & Alexander: regia, scene e luci sono di Luigi De Angelis; drammaturgia e costumi di Chiara Lagani.
I personaggi vivono in un appartamento su due piani, dalle pareti di vetro, che ben si addicono all’esibizionismo contemporaneo; dello stesso stabile fa parte anche la bottega di Figaro. L’edificio si affaccia sulla strada, dove si assiste a un incessante andirivieni di persone, come in un qualsiasi centro urbano: dalla barbona che ha trascorso lì la notte al runner che si allena, dalla coppia di fidanzatini alla mamma con il passeggino, dall’anziana che avanza sostenendosi al deambulatore all’incivile che getta le cartacce per terra, dal pensionato al carabiniere e alla suora. Dopo poco, però, questo estenuante pellegrinaggio diventa ripetitivo e soprattutto manierato: tanto affollamento finisce per interferire con la musica, causando un’inutile distrazione. E, nel frattempo, i personaggi corrono il rischio di trasformarsi in macchiette, come un tempo si rimproverava alle esecuzioni di provincia.
Compagnia di canto tutta di giovani ben affiatati, anche se in sostanza abbastanza estranei al canto d’agilità rossiniano. Il baritono Alessandro Luongo è un Figaro sicuro sul piano vocale e ancor più su quello scenico, ma forse un atteggiamento meno istrionesco gli avrebbe consentito d’imprimere maggior spessore al personaggio. Pur senza quelle ricchezza di colorature che ne impreziosiscono la cavatina, Mara Gaudenzi disegna una Rosina sicura, più maliziosa – con i suoi occhialini a cuore da Lolita – che autenticamente scaltra. Il dottor Bartolo di Omar Montanari, con la mania dell’igiene, è stato forse l’unico nel cast in grado di risolvere il proprio personaggio sul piano musicale grazie a un’emissione salda e a un fraseggio articolato. Non in perfetta forma (a inizio spettacolo era stata annunciata la sua indisposizione), il tenore Matteo Roma ha incontrato, come Almaviva, difficoltà a proiettare il suono nelle ascese verso l’acuto, mentre al pur corretto Arturo Espinosa mancavano gli aspetti della fisionomia vocale di Don Basilio. La governante Berta era interpretata da Giovanna Donadini, che in questa regia diventa un personaggio centrale: una donna matura impegnata nel grottesco tentativo di conquistare un uomo. Completava il cast Francesco Toso, un Fiorello non troppo ben caratterizzato tanto da confonderlo con i personaggi che transitavano lungo la strada.
Alla guida dell’Orchestra Regionale Filarmonia Veneta c’era Giulio Cilona, impegnato anche al fortepiano. A parte gli apprezzabili tentativi d’imprimere una certa varietà dinamica alle pagine strumentali (ouverture e temporale), ha faticato a tenere insieme buca e cantanti, per problemi ritmici particolarmente vistosi nei concertati dei due finali d’atto. La lettura musicale, nell’insieme piuttosto fragile, non è così riuscita a far decollare un capolavoro che, con i suoi tentativi di attualizzazione, finisce soprattutto per innestare la marcia indietro.
Giulia Vannoni