Ho fra le mani uno studio di Assolombarda. Il titolo è: “ Competività e Reputazione: quale ruolo gioca la Qualità?”.
Uno studio che spiega come stiamo vivendo una “ prolungata e non congiunturale crisi che assume una triplice valenza: è una crisi economica innescata da una prospettiva speculativa, a cui si sono affiancate una crisi ambientale, di cui l’evidenza più palese è il cambiamento climatico, nonché una crisi sociale, in cui il peggioramento della qualità della vita si accompagna ad una crescita delle disuguaglianze” e conclude affermando che “ La sopravvivenza dell’impresa oggi è determinata anche dalla capacità di preservare aspetti direttamente o indirettamente correlati al valore sociale ed ambientale e non solo a quello economico”. Parole un po’ tecniche per dire che se la società non cresce e non cambia anche le aziende rischiano grosso, fino all’“ evidente pericolo di perdere il proprio mercato di riferimento”.
La responsabilità sociale delle imprese è oggi non solo una scelta etica (e già questo sarebbe un motivo valido), ma addirittura una priorità strategica, il modo per un’impresa per stare sul mercato ed essere competitiva. Non è più, come si poteva intendere, una scelta opzionale, un investimento in filantropia o in iniziative di carità, finalizzato essenzialmente al miglioramento dell’immagine e destinato a divenire facilmente un costo da tagliare nei periodi di crisi. Non è più così. Lo dice l’Assoindustriali, non l’associazione chierichetti della mia parrocchia.
La domanda allora che sorge e la verifica che intendiamo fare, è quale livello di inclusione e di attenzione al territorio hanno le aziende del riminese rispetto alla società dove sono nate, cresciute, a volte sono diventate importanti e dove ancora oggi operano?
Si parla sempre più di bilancio sociale delle aziende, ma qual è la sua vera consistenza?
Quanti hanno finora aderito almeno all’Art Bonus, utile strumento governativo, che prevede un abbattimento del 65% del carico fiscale? Quanti condividono con investimenti sociali, culturali, sportivi e anche strutturali gli utili che le imprese fanno? E non stiamo chiedendo cose troppo nuove. Infatti
l’affermazione dell’appartenenza di tutti i soggetti a una comunità interdipendente e responsabile, che guarda in primis al benessere della persona e dell’ambiente, non è dei tempi attuali. Adriano Olivetti, promotore di una visione sociale avanzata, di welfare comunitario e città diffusa di qualità, sosteneva: “ La fabbrica non può guardare solo al profitto. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia”. Qualche segnale positivo c’è stato nell’ultimo Natale.
È giusto registrarlo. Non poche aziende, perlopiù medio-piccole, hanno condiviso in busta paga una parte degli utili con i lavoratori, “ perché se l’azienda continua a crescere – ha dichiarato un imprenditore – è giusto condividere i successi con loro”. Ma, come cantava Luca Carboni, “ se non è Natale tutti i giorni, non è Natale mai”.