Per la stagione del Teatro dell’Opera Adam’s Passion di Arvo Pärt messo in scena da Bob Wilson in una sala della Nuvola
ROMA, 1 aprile 2023 – Il sodalizio tra Bob Wilson e Luchinda Chils, che nel 1976 aveva determinato il successo ineguagliabile di Einstein on the Beach, segnando anche una delle svolte fondamentali del teatro musicale, si è ricomposto per Adam’s Passion. Questa volta, però, al posto delle sonorità di Philip Glass ci sono quelle di Arvo Pärt: quattro brani intessuti d’intensa spiritualità, a organico variabile, scritti in anni diversi e concatenati in modo da formare un’unica sequenza. L’incontro tra il minimalismo del compositore estone e l’essenzialità, quasi zen, del regista texano si traduce così in un percorso interiore capace di attivare numerose corde emotive.
Lo spettacolo, nato a Tallinn nel 2015, è stato proposto per la prima volta in Italia in una sala all’interno della Nuvola (il centro romano progettato dal celebre architetto Fuksas): un luogo, certo, non convenzionale. Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera, come pure i solisti di canto, sono collocati alle spalle di una platea allestita per l’occasione. Ci si trova letteralmente immersi in uno spazio delimitato da una grande scatola nera, che annulla tutte le distrazioni e, anzi, aiuta ad amplificare ogni dimensione percettiva. La distanza tra sorgente sonora e palcoscenico (peccato solo che fosse un po’ troppo basso rispetto all’altezza delle sedie) permette di lasciarsi catturare dal magnifico gioco visivo. Ancora una volta, la cifra è quella tipica di Wilson: antinarrativa, ma in grado d’ipnotizzare lo spettatore attraverso la bellezza di immagini che innescano un’incessante dialettica con i suoni. Del resto, come si potrebbe illustrare la musica di Pärt?
In mezzo al palco completamente vuoto, con una rasserenante luce azzurra a fare da sfondo, sta un Adamo nudo, dall’aspetto statuario e dai gesti ieratici (il danzatore Michalis Theophanous). Avanza con passo lentissimo, mentre l’orchestra esegue il primo brano Sequentia, l’unico scritto ex novo da Pärt. Tra le mani l’uomo tiene qualcosa che assomiglia a un cervello e, mentre si avvia a cogliere un ramo simbolo dell’albero della conoscenza, lo lascia cadere in terra. È cominciato l’allontanamento dall’Eden con tutte le conseguenze che scandiranno il percorso del genere umano. La musica intanto prosegue con i tre brani successivi: Il lamento di Adamo, Tabula rasa, Miserere. Il primo, scritto per coro su testo russo, denso di echi della liturgia ortodossa, si trasforma anche in occasione per apprezzare la bravura dei coristi del Teatro dell’Opera, ben preparati da Ciro Visco; il secondo, del 1977, che vede impegnati i due bravissimi solisti di violino Vincenzo Bolognese e Francesco Malatesta, rappresenta un punto di svolta nell’arco creativo di Pärt; l’ultimo, e più imponente, denso di rimandi liturgici, implica il contributo di cinque cantanti solisti. Per valorizzare il millimetrico rigore con cui è costruita una musica facile, ma solo all’apparenza, sul podio è salito il direttore estone Tõnu Kaljuste, autentico specialista di Pärt e del suo inconfondibile stile “tintinnabuli”.
Nel frattempo si succedono immagini destinate a restare scolpite nella memoria: prima due uomini che sembrano pupazzi gonfiabili, una scala a pioli sospesa nel vuoto, la silhouette di una casa e soprattutto lei, la Donna, interpretata dalla danzatrice e coreografa Lucinda Childs, ottantatré anni a giugno. Un’apparizione quasi immateriale: l’esile corpo avvolto in una tunica, indossa un’incredibile parrucca che rende la sua figura ancora ancor più stilizzata. Anche i bambini sembrano evocare la visualità senza tempo di Wilson: in particolare il primo, che tiene in equilibrio sulla testa un mattone, o forse un libro; ne seguono altri che occupano la casa e imbracciano armi in legno per difenderla. Sono le dolorose premonizioni che Adamo ha del futuro: potenti messaggi visivi che lo spettatore è libero di interiorizzare come crede. Ed è forse il modo migliore per stabilire una corrispondenza con la musica di Pärt, paragonata dallo stesso compositore a «una luce bianca che contiene tutti i colori; solo un prisma può separarli e farli apparire. L’anima di chi ascolta può essere quel prisma».
Giulia Vannoni