Fare i conti con la propria storia e con la memoria del proprio vissuto: c’è una sorta di tendenza in atto nelle produzioni cinematografiche più recenti come dimostrano i recenti Belfast di Kenneth Branagh e The Fabelmans di Steven Spielberg, ognuno dei quali impegnato a ricreare parti importanti della propria storia. Ora è il turno di James Gray, sceneggiatore e regista sempre molto interessante (suoi film come Little Odessa e C’era una volta a New York) che nella figura del giovane Paul Graff (Banks Repeta) traccia il filo rosso che lo unisce al proprio diario di vita, tra le problematiche dell’immigrazione (il personaggio è nipote di ebrei ucraini emigrati negli USA, proprio come Gray) e il rosso colore dei capelli. Siamo negli ani ’80, nel Queens a New York, Paul frequenta la scuola pubblica al minimo sindacale, ha velleità artistiche e sogni da astronauta, diventa amico di un compagno di scuola nero con tutta una serie di conseguenze che lo trasferiranno in un più austero college privato. La madre (Anne Hathaway) è determinata ed affettuosa come la maggior parte delle mamme, ma c’è anche il nonno (Anthony Hopkins), riferimento determinante (regalini compresi) per il giovanotto.
Bel racconto, senza rivoli nostalgici, con la capacità di fotografare un’epoca (siamo in periodo reaganiano) e soprattutto dare spazio ad un racconto di formazione e di crescita tra sogni e inevitabili testate contro il muro eretto da un mondo poco disposto ad accettare lo scavalcamento di regole e convenzioni.
ARMAGEDDON TIME IL TEMPO DELL’APOCALISSE DI JAMES GRAY PER GIOVANI (DAI 13 ANNI) E ADULTI – AL CINEMA