Per la stagione di Santa Cecilia un concerto dedicato ai Pianeti di Holst e alla cosmologia dantesca del Paradiso di Adès
ROMA, 16 marzo 2023 – Accomunate dal titolo Sfere celesti, due differenti visioni cosmologiche a confronto. Nel programma del concerto sinfonico all’auditorium di Santa Cecilia ben due le pagine incentrate sui pianeti: riconducibili nel caso di Gustav Holst a una visione pienamente copernicana, ancora tolemaica per Thomas Adès, sebbene nato un secolo dopo il più famoso predecessore.
Il concerto, diretto dallo stesso Adès, che alterna il podio all’attività compositiva, si è aperto con The Planets di Holst: celeberrima suite cui il musicista inglese cominciò a lavorare nel fatidico 1914, ma eseguita soltanto nel ’20, a guerra ormai conclusa. La successione degli otto pianeti (manca Plutone che fu scoperto solo in seguito) non rispetta la posizione che questi corpi celesti occupano rispetto al Sole, ma prende le mosse da Marte e procede, almeno nelle fasi iniziali, per contrapposizioni. Del resto a Holst non stava a cuore tanto la correttezza scientifica: da buon cultore di astrologia gli premeva soprattutto il significato simbolico che si associa a ciascun pianeta.
Particolarmente attenta a valorizzare questi aspetti, la bacchetta di Adès ha impresso all’esecuzione grande vitalismo fin dal primo movimento, dedicato appunto a Marte. Valorizzandone la ritmica implacabile, restituita dall’Orchestra di Santa Cecilia con esemplare rigore, Adès ha esaltato una ricchezza timbrica dove echeggiano clangori guerrieri, più che mai attuali negli anni di nascita della composizione. Poi il direttore si è abbandonato alle atmosfere più distese (un ‘Adagio’) di Venere, inevitabilmente associata all’idea di pace, e ne ha ben assecondato le sfumature dinamiche. È quindi passato alla guizzante leggerezza di Mercurio, fino a culminare nell’evocazione di Giove, concepito come “portatore di gioia” e vero punto di svolta dell’intera suite. Con i pianeti successivi, che peraltro rispettano la stessa successione del nostro sistema solare, le atmosfere divengono sempre più rarefatte, lasciano affiorare echi della musica di quegli anni: da Mahler a Stravinskij, da Bartók a Debussy. Qui diventano fondamentali le sfumature: il suono melodioso dell’arpa per Saturno, associato all’idea di vecchiaia; le incessanti invenzioni ritmiche, declinate in chiave umoristica, per Urano; mentre per il remoto Nettuno, ormai immerso nella lontananza siderale, un suggestivo coro femminile – nascosto agli occhi del pubblico – intona un canto che gradualmente svanisce fino a scomparire nel vuoto cosmico.
Reggere il confronto con una composizione dalla comunicativa così straordinaria è impresa tutt’altro che facile, anche per un compositore talentato come Adès. Protagonista della seconda parte del concerto era infatti Paradiso–Dante Ballet Part III, appartenente al più ampio The Dante Project, proposto in prima italiana e nato – non bisogna dimenticare che Adès è pure un valente pianista – verosimilmente sull’onda della Dante-Symphonie lisztiana. Certo: per coglierne al meglio l’evoluzione drammatica l’ideale sarebbe stato ascoltare l’intero brano nella sua interezza, senza limitarsi alla sola ultima parte.
Questa volta l’edificio cosmologico è quello adottato ovviamente nella Divina Commedia, veicolato dalla visione tolemaica che prevedeva corpi celesti collocati entro sfere concentriche. Ma se per Holst i movimenti relativi ai diversi pianeti erano rigorosamente distinguibili, e dunque individuati da caratteristiche ben precise, qui si ascolta un fluido slittamento che avviene senza alcuna soluzione di continuità, del tutto funzionale alle esigenze di un balletto. Partendo dal ‘pianissimo’ di Awakening (risveglio), le sonorità procedono infatti attraverso impercettibili variazioni, tonali e timbriche, giocate su un progressivo moto ascensionale fino al vertice più alto: si sale così dalla Luna a Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno fino ad arrivare alle Stelle fisse, concatenate in una sorta di loop, che preludono all’ingresso nell’Empireo. E anche in questo caso è un coro femminile a segnarne il suggestivo approdo.
Giulia Vannoni