Non se ne è accorto nessuno, ma il 2022, che sta per chiudere, è stato designato dall’Unione Europea come l’anno dei giovani. “E’ il vostro anno” ha enfatizzato il Consiglio d’Europa (i capi di stato e di governo dei 27 paesi dell’UE). Anche il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e resilienza) porta come sotto titolo Next Generation Italia, cioè futura generazione Italia, ma in genere viene taciuto.
Ad ottobre, rivela l’Istat, c’è stato un buon risultato per l’occupazione, compresa quella dei giovani 25-34 anni, anche se il loro tasso di inattività (gli inattivi in rapporto alla popolazione di riferimento) rimane al 25 per cento. Piuttosto alto. Che riette il basso numero dei giovani che lavorano: in Europa fa peggio dell’Italia, dove il tasso di occupazione giovanile è fermo al 30 per cento, solo la Grecia. Se poi hanno la fortuna di lavorare, la probabilità di ricevere un basso salario è doppia rispetto ai lavoratori più anziani (50-65 anni).
Non va meglio con i Neet (Not in Employment, Education or Training), giovani di 15-29 anni che non studiano e non lavorano, che sono il 21 per cento tra gli uomini e il 25 per cento tra le donne, i valori più alti, a fronte di una media europea del 12 e 14 per cento.
La conclusione di tutto questo è che i nostri giovani abbandonano la casa dei genitori, per farsi una vita propria,
a trent’anni, quando in Svezia avviene prima dei venti, in Germania e Francia intorno a 25 anni.
A Rimini, un recente rapporto delle ACLI dal titolo “Giovani e lavoro” fa il punto sulla situazione locale. Che non è tanto migliore di quella nazionale. Con l’aggravante di un consistente numero, in costante aumento, di giovani che se ne vanno all’estero, e spesso non ritornano per mancanza di buone opportunità lavorative.
Una situazione che richiederebbe una politica di sviluppo locale che de- dicasse maggiore attenzione ai giovani, arontando in primis i temi del lavoro e della casa. Politica che richiederebbe: – nel breve-medio termine, creare le condizioni per orire maggiori e mi gliori opportunità di lavoro, se necessario con politiche di attrazione di nuovi insediamenti nel terziario avanzato e nel comparto manifatturiero; – Facilitare, con programmi specici, l’accesso alla casa dei giovani, condi zione base per la conquista della loro autonomia.
Ha scritto, in un articolo, Massimo Ammaniti sul Corriere della Sera del 6 dicembre scorso: “se non si vuole la stagnazione della società italiana occorre che il baricentro sociale venga spostato sulle nuove generazioni in modo da favorire dinamismo e innovazione”.
L’anno se ne è andato e il silenzio sui giovani è stato, invece, totale. A livello nazionale e locale. Ma spetta anche
ai giovani farsi sentire. Al momento sono rimasti piuttosto silenti.