A colloquio con Romano Prodi
L’Italia resti fortemente ancorata al Vecchio Continente per avere garantite libertà e giustizia sociale. L’importante ruolo dei partiti
“Serve più Europa”. Ormai è quasi un mantra per l’ex presidente del Consiglio e della Commissione Europea Romano Prodi. È appena tornato a Bologna, dopo l’incontro a Siracusa con l’ex ministro degli esteri Joschka Fischer, dove hanno ribadito che occorre accelerare il processo di integrazione europea per evitare di rimanere schiacciati fra Stati Uniti e Cina. E la democrazia resta un ‘tema sensibile’ da difendere tenacemente e mai dare per scontato anche dove ha già una lunga tradizione.
Professor Prodi, come sta la democrazia nel mondo?
“Male, perché negli ultimi 10 anni è certamente in regresso. L’autoritarismo ha fatto strada: dalle Filippine alla Cina, dall’Asia Centrale, alla Russia, alla Turchia. Ha anche lambito l’Europa con la Polonia e l’Ungheria. Senza dimenticare la tentazione negli Stati Uniti o i tanti Paesi africani che avevano abbracciato la democrazia dopo la fine del colonialismo ed ora i loro presidenti e i primi ministri eletti non se ne vogliono più andar via. Finito il mandato si trasformano in antidemocratici”.
Perché avviene tutto ciò ?
“Le cause sono diverse. Oggi c’è una leadership forte, la Cina che rassicura e spesso guida questi autoritarismi con una forza che nessun aveva mai avuto. Quando facevo i vertici con la Cina, nessun presidente cinese diceva: «vogliamo diventare democratici», però c’era rispetto e interesse per la democrazia. Xi Jinping oggi dice: «Noi facciamo le cose, abbiamo portato fuori dalla miseria 800 milioni di persone. Il mondo guarda a noi, non a voi». È cambiato tutto!”.
Ma le proteste delle donne in Iran e in Afghanistan, le manifestazioni a Mosca e san Pietroburgo contro la guerra in Ucraina o persino quelle in Cina contro il lockdown non rappresentano una richiesta di democrazia?
“Sono situazioni miste, però certamente sono in favore della democrazia e contro l’autoritarismo anche se l’attenzione è su altri temi come la condizione femminile o la protezione di minoranze. Per tutti questi movimenti la democrazia è una bandiera”.
In questo quadro mondiale poco rassicurante, qual è lo stato di salute della democrazia in Europa?
“L’Europa è ancora il vero grande baluardo della democrazia, perché si lega a tutti i suoi principi portanti come la libertà attiva di parola, di espressione, la garanzia di essere giudicato secondo la legge, la protezione delle minoranze. L’Europa è ancora in grado di difendere questi diritti e, significativamente, mette al bando chi cerca di portare avanti una democrazia illiberale”.
E in Italia la democrazia è a rischio?
“L’ Italia deve semplicemente schierarsi in Europa con coloro che la garantiscono. L’Europa è il baluardo della democrazia nel mondo. Vi sono tuttavia due Paesi come la Polonia e l’Ungheria che sono fuori dal perimetro democratico. Questi Paesi sono stati più volte lodati e appoggiati da due dei tre partiti che sono ora al governo. È chiaro che la scelta dell’Italia non può che essere legata a Germania, Francia, Spagna, Austria e gli altri. Difendendo sempre, come è stato fatto, anche gli interessi nazionali, ma con la comprensione che le leggi nazionali non possono essere superiori alle decisioni europee”.
La democrazia è per sua natura sempre legata alla libertà, oppure può esserci anche libertà senza democrazia?
“No! La democrazia è legata alla libertà e alla continua ricerca di una maggiore uguaglianza, alla protezione del cittadino. Non sei libero se non hai il diritto alla salute e soprattutto all’istruzione, non sei libero se ti manca la libertà di espressione”.
C’è un rapporto anche con la giustizia sociale?
“Certamente! La democrazia deve essere indissolubilmente legata ad uno sforzo di giustizia sociale. Democrazia vuol dire ‘potere del popolo’, rispetto non solo dei diritti ma anche delle condizioni di vita delle persone. Il grande passo indietro della democrazia è legato al passo indietro degli equilibri sociali, alla maggiore disparità, al fatto che ci siano oligarchie economiche che hanno sempre più potere”.
E a chi sostiene che la democrazia è controllata, anche attraverso i media, dai poteri forti, dall’economia come risponde?
“Non è controllata, ma minacciata. È un fatto nuovo. Lo abbiamo visto, anche recentemente, con l’acquisto di Twitter da parte di Elon Mask. Quando cominciai a studiare l’Antitrust cioè il rapporto fra lo Stato e le grandi imprese, non solo veniva punito l’abuso di una posizione troppo forte, dominante, ma addirittura veniva punita la grandezza di per sé, perché era troppo pericolosa, troppo potente. Oggi la situazione è cambiata. Abbiamo grandi società, tutte cinesi o americane come Alibaba, Google, Amazon, Apple con un potere molto forte nella società. Quindi la difesa della democrazia passa anche dall’equilibrio di forze fra potere politico ed economico. La Cina, per stabilire la superiorità del potere politico su quello economico, utilizza metodi inaccettabili. Alibaba è la più grande piattaforma di vendita on-line del mondo. Ma quando ha dato vita ad Alipay, il braccio finanziario, la Cina ha comminato una multa di dieci miliardi di dollari, ha messo in albergo per qualche mese il suo proprietario e l’ha obbligato a vendere Alipay. Lo ribadisco: si tratta di un modo inaccettabile, ma se la democrazia non mette in rilievo questo, con regole molto precise che in passato c’erano, la democrazia è a rischio”.
Torniamo in Italia. Alle elezioni del 2 giugno 1946 votarono oltre l’89% degli elettori. Il 25 settembre scorso l’affluenza si è fermata a meno del 64%. Questo cosa significa?
“Una grande insoddisfazione per la politica. I partiti tradizionali avevano tanti difetti e sono finiti perché non hanno affrontato la soluzione dei loro difetti però avevano una particolare attenzione agli elettori. Poi abbiamo avuto il periodo delle ‘stelle filanti’, come le hanno definite i politologi, diventate presto ‘stelle cadenti’. Il caso unico dell’Italia è quello di essersi affidati, negli ultimi anni, a poteri effimeri, Lega e 5 Stelle e quindi c’è stata una mancanza di identificazione sempre maggiore nei confronti delle proposte politiche che venivano presentate. Un fenomeno non estraneo ad altri Paesi europei, accentuato in Italia dove avevamo avuto una forte frequenza elettorale”.
Ma può esistere una democrazia senza il sistema dei partiti?
“No, non può esistere!”.
I partiti dunque restano necessari?
“Sì, però devono essere partiti democratici al loro interno. C’è un articolo della Costituzione, il n. 49 che afferma che i partiti devono essere organizzati con metodo democratico.
Questo articolo sottintendeva evidentemente che vi fossero delle leggi che regolavano con metodo democratico la vita dei partiti. I partiti italiani non le hanno mai volute fare e adesso pagano il prezzo di questo rifiuto”.
Giorgio Tonelli