LA STORIA. Lucia Dosi, santarcangiolese d’adozione, dimostra che dalla dipendenza da alcol si può uscire e trovare una vita nuova. Oggi, infatti, è la referente di ACAT e aiuta tante persone a combattere la stessa battaglia
In un mondo dove l’individualismo sembra farla da padrone, per fortuna arrivano testimonianze di una società disposta a includere e aiutare. A Santarcangelo, in via A. Costa, c’è ACAT (Associazione Club Alcologici Territoriali) che offre aiuto a persone e famiglie con problemi legati ad alcol, gioco d’azzardo, fumo o droghe.
Lucia Dosi, santarcangiolese d’adozione (in foto, vestita di rosso, assieme ad altri membri dell’associazione), oggi è la referente del Club ed è in grado di guidare tutti coloro che ne hanno bisogno grazie a ciò che ha potuto imparare sulla propria pelle. Lei stessa, infatti, in passato ha sofferto di dipendenza da alcol. Oggi è ‘rinata’, è sobria da oltre 20 anni e ha deciso di raccontare la propria avventura, che infonde speranza e ottimismo (per informazioni Lucia è contattabile al numero 329.8982331).
Lucia, che ruolo hai nel Club e come ci sei entrata?
“Sono un ‘servitore-insegnante’, cioè sono a servizio delle famiglie che frequentano il CLUB e insegno la nostra metodologia. Quando sono entrata anch’io avevo un problema con l’alcol. Ho iniziato a frequentare a Rimini, dove ci sono stati fino a sei Club che pian piano sono venuti meno. Adesso l’unico nella provincia è a Santarcangelo, dove io sono la referente”.
Chi frequenta il Club e con quali modalità?
“Il gruppo è laico e apolitico, e la porta è aperta a chiunque. È importante il rispetto delle persone; solidarietà, amicizia e amore sono principi condivisi da tutti. L’età media è intorno alla cinquantina, ma ultimamente si stanno unendo persone sotto i 40 anni. A chi si presenta per un aiuto viene chiesto di partecipare accompagnato dalla famiglia perché, seppur in maniera diversa, lo stesso problema viene vissuto di riflesso dal partner, dai figli, dai genitori”.
L’associazione si basa sul Medoto Hudolin, di cosa si tratta?
“Il fondatore Vladimir Hudolin era uno psichiatra croato, esperto internazionale di problemi legati al consumo di alcol e droghe, che lavorava e insegnava nell’Ospedale Universitario di Zagabria. Secondo la sua teoria, l’alcolismo non è una malattia, ma uno stile di vita che si può modificare. È difficile raccontare nel dettaglio la metodologia in poche parole ma, per chi desidera approfondire, on line sono reperibili tante informazioni”.
Come si svolgono gli incontri?
“Ci vediamo una volta alla settimana (dalle 20,30 alle 22 circa) e ognuno racconta liberamente di sé in una comunità che rispetta, ascolta senza giudicare, aiuta, incoraggia. All’inizio c’è molta vergogna, ma poi si supera. Spesso portiamo dei dolci per festeggiare: non i compleanni anagrafici, ma gli anni di sobrietà”.
Te la senti di raccontare com’è nata la tua dipendenza?
“Avevo 20 anni ed ero incinta; ho cominciato a bere qualche sorso di vino rosso perché ero anemica. Poi, con gli anni, è diventata una dipendenza. Mio padre era un alcolista, mai violento con me o con il resto della famiglia ma, quando beveva e si arrabbiava, spaccava quello che aveva intorno. Ho capito il problema verso gli 8-9 anni, prima credevo che la cattiva in casa fosse mia mamma, che lo rimproverava spesso. Allora mi sono detta che mai avrei toccato un goccio d’alcol. Poi, invece, ci sono cascata in pieno”.
In famiglia come andava?
“Bevevo in casa di nascosto e in principio nessuno si è accorto di niente. Mi sembrava che il mio ruolo in famiglia fosse dato per ‘scontato’ e mi faceva male questa cosa. Finché uno dei miei figli ha trovato le bottiglie e ha capito. Poi un giorno, a causa di un problema con mia madre, ho chiesto aiuto a mio fratello e lui ha immediatamente inteso che qualcosa non andava. Da lì è uscito tutto: finalmente mi avevano scoperta, da quel momento mi sono sentita alleggerita!”.
Come hai deciso di smettere?
“A 50 anni mi sono detta una cosa molto estrema: ‘o mi butto giù da un ponte o cambio vita’. Oggi festeggio 21 anni di sobrietà e ho capito anche tante cose. Dopo un congresso dei Club ACAT ad Assisi, ho passato una notte insonne a scrutarmi dentro: ho finalmente fatto pace coi miei genitori, intuendo che entrambi hanno voluto bene a noi figli nella maniera in cui ne sono stati capaci. Mi sono chiesta se il mio babbo, potendone avere le possibilità, avrebbe accettato di partecipare al Club, se si sarebbe lasciato aiutare, se la mamma l’avrebbe mai accompagnato. E io poi, che figlia sarei stata? La mattina dopo ero una persona diversa, ben sicura di voler essere una mamma e una nonna presente. Ora i miei genitori li penso in pace, con serenità”.
Oggi sei in difficoltà quando in compagnia devi rifiutare un bicchiere di vino?
“Se mi offrono da bere, rifiuto. Se mi chiedono il perché, racconto di me senza imbarazzo. Se ho ospiti a pranzo o a cena non offro vino, mi sento molto a disagio a comperarlo. Se lo desiderano, lo portano da casa”.
Come ti poni nei confronti della Fede? Sei credente?
“Ho i sacramenti, ma non sono praticante. Però ogni tanto, quando ne sento il bisogno, cerco Qualcuno lassù e ci parlo. Nel 2015 mio figlio maggiore ha avuto un serio problema di salute; non sapevo a chi rivolgermi, ero molto preoccupata e sono entrata in Collegiata. Per tutto il tempo, finché non gli è stato asportato il tumore e si è guarito, andavo tutti i giorni in chiesa davanti al dipinto della Madonna, stavo lì e accendevo una candela. Da allora, ogni sera dico un’Ave Maria e un Padre Nostro, altrimenti non riesco ad addormentarmi”.
La domanda più difficile di tutte. Sei felice?
“Sì, lo sono. Sono vedova da molti anni e quindi vivo sola, ma non in solitudine: ho tanti amici che frequento spesso e coi quali faccio brevi viaggi. Ogni mattina mi gusto il caffè guardando dalla finestra: ho sempre davanti lo stesso paesaggio, ma ci scopro ogni giorno qualcosa di diverso”.
Roberta Tamburini