SINODALITÀ. Mercoledì 12 ottobre si è svolta l’Assemblea Diocesana che ha segnato la “restituzione” del lavoro fatto lo scorso anno e indicato il cammino da fare
È stata un’ “assemblea di restituzione”. Dopo un anno di lavoro sinodale nelle parrocchie e nelle comunità, la Diocesi ha organizzato un incontro con le stesse per “raccontare” quanto emerso e per indicare il cammino futuro. In questa pagina faremo sintesi solo della “restituzione”, lasciando ai prossimi numeri le prospettive future del lavoro sinodale. All’assemblea di mercoledì 12 ottobre hanno partecipato circa 170 persone in rappresentanza di circa 50 parrocchie, 11 aggregazioni laicali, 3 istituti religiosi e 10 Uffici Pastorali.
Praticamente le realtà che si erano coinvolte nel lavoro proposto un anno fa. I numeri infatti della relazione corrispondono di fatto alle presenze in assemblea, non così numerose come ci si poteva attendere. Del resto la stessa relazione dell’equipe sinodale accenna al fatto che “da parte di diverse realtà parrocchiali si nota un atteggiamento più da osservatore che da attore in questo processo, permanendo delle ‘sacche’ di resistenza, rassegnazione e sfiducia, soprattutto laddove i preti nutrivano riserve e scetticismo riguardo a questo cammino”.
Nelle parrocchie impegnate il processo ha coinvolto in larga misura gli organismi già presenti, come Consigli pastorali, gruppi liturgici, gruppi famiglia, centri di ascolto, ed altri. Ma sono da registrare anche esperienze dove si sono costruiti percorsi atti a coinvolgere o almeno a dare voce alle persone più lontane dal vissuto pastorale e di vita ecclesiale.
In ambito extra parrocchiale è da notare l’iniziativa di gruppi sinodali con i detenuti del carcere (di cui è stata proposta una testimonianza in un bel filmato di IcaroTv), con i volontari Caritas, con gli insegnanti/genitori in qualche scuola cattolica, ed infine con persone credenti/non credenti. Alla fine di questo primo anno di percorso, nonostante i tempi stretti e le scadenze quasi perentorie, si è avuto un bel ritorno del cammino fatto: sono infatti arrivate oltre 100 sintesi, nelle quali i temi più gettonati sono stati “compagni di viaggio”, “ ascolto” e “ formarsi alla sinodalità”.
Il frutto più bello di questo primo tempo del Sinodo, è scritto nella sintesi dell’equipe sinodale, è la partecipazione dei laici, “con una consapevolezza forte di “volere essere” parte viva della vita della Chiesa, e la richiesta di “essere coinvolti” in maniera attiva e non passiva nella vita ecclesiale”.
I contenuti delle sintesi
Comunione, Ascolto/Dialogo, Linguaggio e Partecipazione sono le quattro richieste fondamentali emerse dalle 100 relazioni presentate. Il confronto proposto ha portato ad una nuova e più profonda consapevolezza di ciò che è la Chiesa, ciò che la genera e ciò che è la sua missione. “Il confronto ha aperto il cuore e la mente di coloro che hanno partecipato agli incontri sinodali all’ascolto delle indicazioni più urgenti dello Spirito riguardo alla conversione da compiere come Chiesa, a partire dalla dimensione più personale, per passare alle realtà parrocchiali, toccando inoltre l’esperienza delle associazioni e dei movimenti, per arrivare anche alla Chiesa istituzione”.
Dal confronto sono emerse cinque modalità di “conversione”.
La prima riguarda “un fare che nasca dall’essere Chiesa”. Qui è stata proposta l’icona di Marta e Maria, le due sorelle amiche di Gesù, espressione figurata dal “fare” e del “contemplare”. Vengono proposte “esperienze ecclesiali sempre più aperte e in connessione tra loro (organismi diocesani e associazioni, movimenti, vita consacrata); fare della parrocchia un luogo di relazioni, amicizia, stima e rispetto, una comunità che accoglie tutti; la sinodalità come stile per la chiesa”.
La seconda conversione riguarda un atteggiamento di missione, nell’ascolto e nel dialogo.
Le comunità ecclesiali dovrebbero essere sempre più orientate a raggiungere le persone lì dove vivono, ad accoglierle, ascoltarle, conoscerle così come sono e nella loro realtà di vita. C’uno stile poi di “avvicinarsi al prossimo con umiltà, con un cuore “da bambino”, con un profondo rispetto per la vita, la storia, le ferite e i talenti di coloro che si incontrano. L’istituzione Chiesa deve preoccuparsi non tanto di dare risposte quanto di condividere le domande”. C’è anche la proposta di uscire dai muri delle chiese celebrando liturgie nel territorio, favorendo le celebrazioni domestiche, “affinché Gesù Eucarestia entri nelle case”.
La terza conversione non è semplice, anche se tremendamente urgente ed è quella che riguarda il linguaggio ecclesiale che deve diventare “comprensibile e che ne faccia splendere la bellezza del Vangelo. Spesso invece le parole della Chiesa sono sentite come distanti e incomprensibili, specialmente dai giovani”. “ Il linguaggio, l’accoglienza, la testimonianza dovrebbero cambiare nella direzione di una maggiore credibilità e di una spiritualità più gioiosa e meno triste, formale, rigida”. Questo coinvolge anche la liturgia, con “ celebrazioni vissute spesso passivamente, senza un reale coinvolgimento di tutti” e non è un bel dire, considerato che è appena stato pubblicato il nuovo Messale. Ma in questo capitolo sono tanti i temi messi a fuoco, come il “ coinvolgimento delle donne, il celibato ministeriale, la gestione dei beni, gli scandali”.
I giovani sono la quarta conversione. Anzitutto nel modo di relazionarsi con loro. Occorre passare dal trasmettere una dottrina a quello di privilegiare un incontro.
Dal catechismo alla nuova evangelizzazione che trovi canali e modalità di contatto veramente efficaci, passando “da un approccio scolastico all’annuncio del vangelo”. In questo la Chiesa sta facendo molta fatica nello stare al passo coi tempi. Giovani, giovani coppie e famiglie che chiedono di non essere considerati solo spettatori, ma di essere maggiormente coinvolti, sia nella fase decisionale e di responsabilità, sia in quella operativa.
La quinta e ultima conversione riguarda i poveri. Don Oreste diceva compito della carità è di ognuno e di tutta la comunità. Ed è quel che è emerso nella sintesi: “La carità dev’essere esperienza concreta e condivisa di tutta la comunità e non può essere delegata agli operatori della Caritas”. La carità non si delega e “ il sostegno alle persone in difficoltà è autentica opera di misericordia se non si limita all’erogazione di aiuti ma solo se si attua in un contesto di accoglienza, ascolto e condivisione”.