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LA FIUMANA DEL 1910

(Archivio Biblioteca Gambalunga)

STORIA&STORIE. Nel settembre di 112 anni fa il maltempo fece esondare il Marecchia, portando a ingenti danni nel borgo San Giuliano (e tanta paura)

Sono ancora indelebili le drammatiche immagini della recente alluvione avvenuta nelle Marche. La natura che libera tutta la sua forza e le infrastrutture umane che non riescono a reggere il colpo, con risultati terribili. Come a Senigallia, dove la bomba d’acqua dello scorso 16 settembre ha fatto esondare il suo fiume, il Misa, producendo danni indicibili e, addirittura, 11 morti e 2 dispersi. Maltempo, dunque, che dopo un’estate di profonda e prolungata siccità, torna prepotentemente d’attualità.

(Archivio Biblioteca Gambalunga)

Una situazione che porta alla mente un evento storico tutto riminese, che causò, fortunatamente, meno danni, ma che fece talmente paura ai cittadini da essere documentata ancora oggi. Si tratta della fiumana che colpì Rimini nel 1910, raccontata nel libro J Anvùd dla Marianna – Una vetrina sul borgo San Giuliano, di Roberto Balducci (Panozzo Editore, 2018), nel quale emerge tutta la paura provata dai riminesi dell’epoca, direttamente dalle loro parole.

Si riporta, di seguito, il racconto.

“Quella sera del 4 novembre 1956 pioveva a dirotto come ormai da dieci anni e non voleva smettere. Il vecchio alveo del fiume Marecchia, che scorreva proprio di fronte alla trattoria, dall’altra parte dla strèda Mèstra (la via principale, il viale Tiberio), allargandosi sotto le arcate del ponte di Tiberio, aveva un po’ straripato nei campi circostanti ed era gonfio e minaccioso come da molto tempo non si vedeva. Quèst l’è gnint in cunfront a la fiumèna de’mélanuvzént e diés… Sé che cla vòlta e iè stè da caghèss adòss, burdèl!’ (Questo è niente in confronto alla fiumana del 1910… Sì che quella volta è successo di farsela addosso dalla paura, ragazzi!) così iniziò a parlare La Paca, fratello di Giorgetti il tappezziere.

La Paca era un vecchio borghigiano che abitava in via San Giuliano, così chiamato perché aveva una gamba tinca (secondo Quondamatteo, col termine ‘paca’ si indicava uno strumento per battere i cereali, formato da due legni, uno appiattito, l’altro tondo, uniti da una corda. Forse il nostro personaggio deve il suo soprannome proprio al rumore della sua gamba, simile a quello prodotto da questo attrezzo). Era un affezionato dell’osteria, sempre presente la sera col suo cartoccio portato da casa. Quella sera aveva un paio di becconi, il pesce dei ferrovieri, rimasti dal pranzo di mezzogiorno. ‘Dai, Paca, raccontami. Che cos’era successo nel 1910?’ incalzò il piccolo Roby. ‘Dunque, devi sapere che allora non esisteva il deviatore del fiume. Ed è grazie a questa opera, una delle poche buone fatte da chè vigliàc ad Mussolini (da quel birbone di Mussolini) che in questi giorni abbiamo scampato una bella fiumana’.

‘Perché?’ chiese Roby. ‘La tanta acqua che è caduta in questa settimana scarica nel letto del deviatore, che è molto largo e ha sponde molto alte, per finire direttamente nel mare nei pressi della Barafonda. Invece, una volta scaricava solo nel letto originale del Marecchia e finiva per allagare tutto il nostro borgo che è molto più in basso rispetto alla strada e, poi, invadeva anche altre parti della città!’”.

L’alluvione

“Quell’anno aveva piovuto tanto, come adesso, e il mare non riceveva. Erano le quattro e mezza del mattino del 23 settembre: l’acqua melmosa e fredda cominciava ad arrivare alla fila delle case che allora erano proprio sul Marecchia. Proprio qui, davanti alla trattoria ‘Marianna’, c’era tutta una fila di vecchie case che delimitava la vecchia via Emilia. Non esisteva ancora il viale Tiberio coi suoi magnifici pini. Venne realizzato negli anni fra il 1927 e il 1938, durante il fascismo, demolendo proprio tutte quelle vecchie case che partivano dall’angolo del ponte dove c’era la vecchia bottega della Rosina Bomboloni…”.

“Ah, adesso ho capito perché la chiamano anche la Rosina de’ pont (la Rosina del ponte)” incalzò Roby. “Eh già! Le case arrivavano fino al vecchio palazzo ad Pericoli, grosso modo a chiudere il viale Tiberio all’altezza della farmacia Versari. Questo vecchio palazzo delimitava la curva della strada maestra continuando nella odierna via San Giuliano che allora era la vecchia via Emilia”. La Paca si interruppe un attimo per prendere fiato, tutta quella ricostruzione di mappe e percorsi lo aveva sfinito, poi proseguì: “Senza concedere scampo, nel giro di pochi minuti, l’acqua invase i ‘gabinotti’ di legno che quelle povere case avevano, a mo’ di terrazzi, sul lato posteriore che s’affacciava direttamente sul Marecchia, spazzandoli via con una forza inaudita. Ruggendo e schiumando, penetrò nelle squallide camere, le attraversò portandosi via i pochi mobili che incontrava lungo il suo tragitto. Poi inondò la strada e scese, ancora più tumultuosa che mai, nei vicoli, sommergendoli in pochi minuti. Tutto in un attimo fu travolto, così come vennero travolte le esistenze di quella povera gente. Poco possedevano, niente gli rimase. Io ero piccolo, mi ricordo che fui svegliato all’improvviso dal suono metallico delle campane della chiesa di San Giuliano che Nicola Amati, il falegname con la passione del campanaro – precedendo Cinin, il vero sacrestano – suonava con tale veemenza da sovrastare il rombo sordido e lugubre del tumultuare delle acque. Poi suonarono a distesa i campanili della città”.

La Paca non stava esagerando: “Fu una piena eccezionale, dal momento che anche l’Ausa e il Mavone strariparono dai loro letti per invadere quelli della povera gente che ancora riposava, inconsapevole dell’imminente tragedia. Alle 7 la fiumana aveva già scavalcato i ponti della ferrovia e di Tiberio riversando sulla città torrenti di acqua e fango. In alcuni punti del borgo San Giuliano aveva raggiunto l’altezza di circa tre metri. Sì, proprio tre metri!”. Attraverso le cronache riportate dai giornali si possono rivivere quelle ore terribili. Nel numero del 24 settembre 1910 – uscito l’indomani della sciagura e in quello del 1 ottobre 1910 – l’Ausa fornisce un dettagliato resoconto della situazione sia per i sobborghi sia per il centro storico.

“Ma con tutta quell’acqua come facevate ad uscire di casa?” chiese Roby, affascinato e impressionato dal racconto. “Il mio babbo mi diceva che la gente si spostava da un angolo all’altro del borgo dentro le botti del vino!” rispose La Paca, rigirando tra le mani il bicchiere mezzo vuoto.