La Rimini romana è una delle tre città meglio conservate d’Italia. Arco d’Augusto, Ponte di Tiberio, il Tempietto di Sant’Antonio, Domus del Chirurgo sono simboli riconosciuti anche dai visitatori meno attenti alle tracce del passato di Ariminum. “Quella romana è una vestigia importante, fondamentale della nostra città. – musica e parole del sindaco, Jamil Sadegholvaad – La riqualificazione dei simboli di Rimini va avanti già da diversi anni, e proseguirà, magari con l’aiuto di privati e il sostegno dell’Art Bonus. In ogni caso, il Comune di Rimini non si tirerà indietro, e farà la sua parte. E la Rimini romana è un tassello importante della candidatura di Rimini a capitale della cultura 2026”.
Partono i lavori di maquillage dell’Arco d’Augusto (“preventivi, nell’ottica del ‘minor intervento’ per prevenire guai peggiori”), e il primo cittadino illustra con comprensibile soddisfazione il percorso intrapreso finora e lo striscione del traguardo verso cui pedala. Dall’elenco di Sadegholvaad manca un tassello del puzzle romano, e non di seconda fascia: l’Anfiteatro romano. Un monumento vent’anni fa ancora ridotto allo stato di parco chiuso e malridotto, e da alcuni anni perlomeno “compreso” nella sua originalità. Le dimensioni esterne dell’anfiteatro di Rimini corrispondono a 117,7 x 88 metri, mentre l’arena interna occupa un’area di 76,40 x 47,40 metri. Misure che a prima vista non sembrano significative, ma che se confrontate con quelle del noto Colosseo (187,77 x 165,64 metri esternamente e 77 x 46,50 per l’arena) non sfigurano affatto. E le dimensioni dell’arena differiscono di poco, tanto che pare che a Rimini il complesso potesse ospitare diverse migliaia di persone. Jamil però non si fa cogliere impreparato e risale subito sui pedali.
“Siamo in attesa di conoscere i risultati di uno studio condotto dal’Università di Bologna”. La palla passa alla Soprintendenza archeologia, belle Arti e Paesaggio per le province di Ravenna, Rimini e Forlì-Cesena. Federica Gonzato non pensa alle polemiche sul Ceis, l’Asilo Svizzero che doveva essere di passaggio su quell’area, ma in Italia nulla è più definitivo del temporaneo. “Dello studio dell’ateneo felsineo non ho ancora alcun risultato. – avverte la Gonzato – Sapere cosa cela l’anfiteatro, se cela qualcosa, non è questione di lana caprina ma decisiva. Valutare i pro e i contro di una eventuale campagna di scavi, è necessario”. Il Sovrintendente applaude agli evidenti passi in avanti compiuti da Rimini in tema di recupero della città romana, anche sull’anfiteatro. E chiarisce: “ Il recupero e la valorizzazione dell’Anfiteatro non passa solo dall’eventuale scavo. Recuperare la storia e renderlo fruiibile è già un bell’esempio di conservazione”.
Bastano pochi passi, appena qualche scalino e si scendono 1900 anni in un baleno. Un balzo nella storia a due passi dal mare e al fianco di un simbolo dell’educazione e della solidarietà. L’Anfiteatro romano non offre più lotte tra gladiatori e spettacoli circensi – sepolti insieme al resto del manufatto – ma può regalare suggestioni, storia e turismo. «L’unica maniera per conservare il nostro patrimonio è la cura assidua e solo occasionalmente il restauro» …è scritto da tempo. Non tutti sono d’accordo sul percorso per valorizzare l’Anfiteatro. “Guardando le foto dei restauri dell’anfiteatro si vedono tra le murature in elevato (perché ampiamente ricostruite) costruzioni in terra cruda oggi scomparse che un tempo dovevano essere rivestite di marmo. Quante ne saranno rimaste nella parte non ancora scavata? E quanto è difficile la conservazione della terra cruda all’aperto in un clima come il nostro? Verificare cosa sia ancora sepolto sotto le strutture del Ceis è un’idea affascinante, ma solo per valutare la consistenza di ciò che resta senza pensare ad una sua messa in luce” è l’opinione di Andrea Ugolini, professore di restauro architettonico all’Università di Bologna, riminese di 42 anni da sempre impegnato in ricerche sull’area su cui sorge l’Anfiteatro. Il dibattito infiamma da tempo.
L’ex assessore alla Cultura Massimo Pulini auspicava un recupero della struttura ipotizzando come soluzione lo spostamento del CEIS, e con lui altri architetti e intellettuali. Scavo o no, quel che resta dell’Anfiteatro non sono vecchi reperti da riportare alla luce per la gioia di pochi entusiasti intenditori, ma una struttura che – se valorizzata nella giusta misura – ha le potenzialità per diventare una parte importante del tesoro storico romano che Rimini già possiede e mostra.