Dalla Missione. Don Claudio Comanducci ha raccolto la testimonianza dei due sacerdoti scampati all’attacco jihadista in cui è stata uccisa suor Maria De Coppi
Ha fatto il giro del mondo la notizia dell’assassinio di suor Maria De Coppi, 83 anni, uccisa durante un attacco jihadista alla missione di Chipene, in Mozambico. Nella comunità vivevano altre quattro religiose. Oltre a suor Maria, anche Angeles e Paula, spagnole, Eleonora, italiana e Sandrine del Togo. Due missionari fidei donum, della diocesi di Pordenone, don Lorenzo Barro, 56 anni, già rettore del seminario di Pordenone, e don Loris Vigna, 45 anni, originario di Corva, stavano in una casa a poca distanza. Nella notte, durante l’attacco, uno di loro aveva inviato messaggi drammatici che lasciavano temere il peggio.
“Ricordatevi di me nelle preghiere” e “Ho perdonato chi eventualmente mi ucciderà”. “Vedrò di proteggervi da là”. Ma, dopo una notte di terrore, sono fuggiti e si sono messi in salvo. Ora i due missionari sono ospiti dal Vescovo, vicino alla Missione dove vive don Claudio Comanducci, sacerdote riminese, anche lui missionario in Mozambico che li ha incontrati e si è fatto raccontare la loro testimonianza per “ilPonte”.
Chi sono i terroristi?
“Noi li chiamiamo gli ‘insurgentes’. – dice don Loris – Hanno bruciato la chiesa, i due dormitori, le case dei padri e delle suore, il centro de saúde, alcuni magazzini. I ragazzi già erano andati via il giorno prima. Non così le ragazze… All’inizio degli spari, sorella Eleonora ha preso le meninas ed è fuggita con loro nella foresta. Anche sorella Angeles è riuscita a scappare (anche se era stata afferrata da dietro) con le aspiranti. Purtroppo, uno dei primi spari ha preso suor Maria al volto: per lei non c’è stato niente da fare. Riguardo a me e a don Lorenzo, siamo rimasti zitti zitti in camera tutta la notte. Hanno bruciato tutto, sfondando tutte le porte. Tranne da noi. E la cosa ci insospettisce non poco: come mai e perché proprio le nostre due porte non sono state toccate? Pare evidente che hanno appositamente evitato, perché sapevano: non c’è altra spiegazione. Al mattino è passata Angeles a farci sapere che erano andati via. E così siamo usciti dalle nostre camere, increduli e contenti, ma anche tristi e diversamente sollevati”.
La Missione di Chipene è una parrocchia di 3mila chilometri quadrati, senza strade asfaltate. Una popolazione afflitta da fame, ignoranza, guerra e inondazioni, con una speranza di vita media di 40 anni. La parrocchia ospita sfollati in fuga dagli scontri tra esercito e militari ruandesi da una parte e gruppi armati in lotta contro il governo dall’altra e dispone di scuole, dormitori e altre strutture di recente inaugurazione. Nella missione ora distrutta vivevano un’ottantina di ragazzi e ragazze che sono stati messi in salvo. Suor Maria De Coppi aveva denunciato la guerra, lo sfruttamento e il terrorismo in Mozambico e le sofferenze del popolo, ed era in prima linea per aiutare le famiglie del territorio provate da fame e violenze.
Qual è ora il vostro stato d’animo?
“Sono a Chipene da 4 anni, Lorenzo da 6 anni. – ci dice don Loris – Di quella notte ho tanti ricordi e tante domande, che continuano a girarmi in testa. Sto bene fisicamente, ma vivo in un’ansia continua. Qualunque rumore, una porta che sbatte, qualcosa che cade, mi fa rivivere quei drammatici momenti. Anche per questo abbiamo deciso che io torni in Italia presto, anche per fare un percorso di riabilitazione mentale. A parte ciò, siamo molto preoccupati per la gente. Stiamo parlando di più di 40.000 persone, famiglie con molti bambini, che si stanno spostando dalle zone di pericolo e arrivano senza nulla. Hanno bisogno di un alloggio, del mangiare. Ci sono persone che hanno accolto in casa fino a 15-18 persone. Questo naturalmente crea difficoltà e qualche risentimento”.
Tu Lorenzo come stai?
“Psicologicamente per ora sono ancora in piedi. Certo è stata un’esperienza molto forte, il problema vero è che il terrore blocca la vita della gente, la vita sociale e anche quella religiosa… Ora che la Missione è distrutta non possiamo certo tornare subito, ma un fantasma aleggia e ci obbliga a ripensare la nostra presenza. I nostri cristiani, la nostra gente sono certamente molto tristi per ciò che è accaduto, anche perché Maria era molto considerata, vicina alla gente. Ora gli insorgenti sono rientrati nei loro territori e la vita quotidiana ha iniziato a riprendere. Io penso di attendere qualche settimana per vedere come matura la situiazione, ma certamente mi farò presente per incoraggiare i nostri cristiani, celebrare con loro e dirci qualcosa su come andremo avanti”.
L’ultima battuta è di don Claudio Comanducci ed è rivolta alla chiesa riminese. “Nella mia Missione di Memba abbiamo ospitato in questi giorni una trentina di persone di Chipene per dar loro conforto e aiuto. Quello che chiediamo a voi è la preghiera e la vostra solidarietà in questo momento difficile, per le prove a cui sono stati sottoposti”.