In un breve e brillante saggio del 1927 l’allora bibliotecario della Malatestiana di Cesena, Arturo Torquato Dazzi, adombrava l’idea che la rosa quadripetala, tanto frequente nelle opere malatestiane riminesi, fosse riferibile a Isotta degli Atti (amante e poi terza moglie di Sigismondo) e che la farfalla, che compare in una decina e più di codici della biblioteca malatestiana cesenate, fosse riferibile a Violante da Montefeltro (unica e devotissima moglie di Malatesta Novello). Dunque bella, focosa e ardente come una rosa Isotta, spirituale e gentile come una farfalla Violante.
Sappiamo che la rosa è pegno e simbolo d’amore, e che la farfalla è un’allegoria dell’anima; ma oggi certo non arrischieremmo più romantici accostamenti con le due donne malatestiane. Del resto la rosa quadripetala, una delle imprese araldiche più belle fra quelle usate dai Malatesti riminesi, è ben presente anche a Cesena, nei capitelli e nelle cornici della biblioteca, nelle miniature dei suoi codici e in vari elementi architettonici. Forse, come è già stato ipotizzato, la rosa malatestiana allude alla speciale onorificenza della “rosa d’oro” conferita dai pontefici alla famiglia Malatesta in varie occasioni, per ringraziarla dei preziosi servigi in campo diplomatico e soprattutto militare.
In quanto alla farfalla è stata usata sicuramente come simbolo di spiritualità. E addirittura è stata riferita anche alla Madonna. Infatti esiste, ma l’ho scoperto solo in questi giorni, anche una Madonna della farfalla, ed è quella che qui riproduco dal catalogo di una bella mostra del pittore Giovan Francesco Caroto, organizzata dal comune di Verona (e aperta fino al 2 ottobre). Il suo dipinto, eseguito negli anni 1510-15, raffigura una Madonna con il Bambino e dal punto di vista stilistico e iconografico è normale per un buon pittore di area veneta (è in Collezione privata, primo riquadro a sx in alto).
Ma chi lo guarderà attentamente scorgerà un piccolo particolare inconsueto, addirittura in primo piano, sul bracciolo destro della seggiola all’antica della Madonna: cioè la raffigurazione di una modesta farfalla bianca, direi una molto comune Cavolaia (nome scientifico Pieris brassicae).
Non credo che al pittore (o al committente) interessasse riprodurre fedelmente un particolare tipo di farfalla, ma certo gli interessava aggiungere all’immagine questo insetto per suggerire a chi la guardava di considerare in maniera specifica la spiritualità della Madonna e la sua purezza; e, nello stesso tempo, di considerare possibile anche per la propria anima la metamorfosi che aveva subito l’insetto, da vorace bruco a splendida farfalla: quindi da uomo materiale a uomo spirituale.
Era da quasi un secolo che nei dipinti non si vedevano farfalle: solo i pittori tardogotici, come il Pisanello, talvolta le avevano raffigurate negli sfondi di ritratti principeschi, forse per alludere alle qualità dei personaggi.
Di Madonne dette del gatto, della rondine, del cardellino, del passero eccetera ce ne sono parecchie. Molto rare invece, anzi rarissime, sono quelle che prendono il loro nome dagli insetti, come questa opera veronese. Alla quale posso aggiungere solo una Madonna della cavalletta, in una bella tavola ben più antica, del Trecento riminese, attribuita al Baronzio e conservata nella National Gallery di Washington (dep. S. H. Kress, riquadro a dx in alto). Molti riminesi l’hanno vista e la conoscono, perché nel 1995 è stata esposta a Rimini nella mostra sulla pittura del Trecento riminese (nel cui catalogo è riprodotta a p. 265).
A darle questo nome credo che per primo sia stato Federico Zeri, in una conferenza del 1995.
Ci voleva proprio un artista strambo, si penserà, per rappresentare il Gesù in grembo alla Madonna con in mano un grosso insetto così inusuale, brutto, dannoso e porta-sfor- tuna! Però non si tratta di una semplice stramberia. Poiché l’insetto in questione sarebbe il simbolo del paganesimo convertito per i meriti di Cristo, la sua immagine in mano a Gesù sarebbe più che giustificata, è stato scritto.
Ma è molto più probabile (e semplice) che la nostra cavalletta voglia richiamare la storia di san Giovanni Battista descritta negli otto pannelli che originariamente affiancavano quella Madonna in un grande dossale ora scomposto. Infatti di san Giovanni, che viveva e predicava nel deserto di Giuda, l’evangelista Matteo (3, 4) ci dice che si cibava solo «di locuste e miele selvatico». Qui ripropongo lo schema di questo bellissimo dossale (secondo l’ideale “ricostruzione” di K. Chistianssen, 1982), che doveva essere largo più di due metri.
Purtroppo le sue tavole ora sono disperse in molti musei stranieri, e ne ignoriamo la provenienza e la storia.
Di Madonne dette delle cavallette ce ne sono diverse in giro, soprattutto nell’Italia meridionale e insulare, invocate contro l’invasione di questi insetti (Nell’immagine di apertura, schema grafico ricostruttivo del Dossale con le storie di San Giovanni Battista, che ha al centro la Madonna ora a Washington, dis. di pgp 1987). A Calatafimi (in prov. di Trapani) la Madonna delle cavallette è addirittura la protettrice della città, per avere allontanato dalla zona un vorace sciame di cavallette nel 1655. Ma tutte queste Madonne hanno in genere l’iconografia consueta delle Madonne “in maestà”, che con le cavallette non hanno proprio niente a che fare.