La gazzetta, secondo titolo in cartellone del ROF proposta nel vecchio allestimento di Marco Carniti nato proprio a Pesaro sette anni fa
PESARO, 10 agosto 2022 – Certo, oggi a nessun padre verrebbe in mente di mettere sul giornale l’annuncio per trovare un buon partito alla propria figlia. La decisione, comunque, doveva apparire già abbastanza insolita nel 1816, quando Giuseppe Palomba scrisse per Rossini – prendendo spunti qua e là, ma soprattutto da Goldoni – il libretto comico La gazzetta, concepito per essere messo in scena a Napoli, patria elettiva dell’opera buffa. Non bisogna però cercare in questo spunto paradossale, né nel bizzarro e un po’ artificioso vernacolo partenopeo della versificazione, i maggiori motivi d’interesse di un’opera che, invece, ancora una volta deve tutto alla musica. Insuperabile maestro di straniamento (chissà se Brecht era un suo ammiratore), Rossini si diverte non solo a utilizzare materiale musicale proveniente dal Turco in Italia e dalla Pietra del paragone, ma scrive una nuova sinfonia che, quattro mesi dopo, utilizzerà integralmente per La Cenerentola. E, così facendo, trasforma un intreccio grottesco e un po’ farraginoso in occasione di surreale comicità.
Secondo titolo della quarantatreesima edizione del ROF, La gazzetta è andata in scena al Teatro Rossini di Pesaro in una ripresa dell’allestimento del 2015, firmato dal regista Marco Carniti, con le scene di Manuela Gasperoni e gli spiritosi costumi di Maria Filippi: un’ambientazione astratta e minimalista, che suggerisce la Parigi del libretto – in verità assai schematica e stilizzata – a partire dal mondo della moda. Ma soprattutto è uno spettacolo che punta, giustamente, sulla recitazione degli interpreti, a cominciare dal personaggio centrale di don Pomponio Storione. È lui che ha avuto l’idea di pubblicare su una gazzetta parigina l’annuncio per trovare un marito di rango alla figlia, e Carlo Lepore sostiene il ruolo da autentico mattatore: idiomatico negli affondi vernacolari, plastico nei recitativi, fluido nei sillabati, un occhio al cantante-attore e l’altro all’“attore vocale”. Gli fa da contraltare, nei panni del servo muto Tommasino, il bravissimo mimo Ernesto Lama. Molto più di una semplice spalla.
Peccato invece che Maria Grazia Schiavo sia apparsa inadeguata al personaggio della frizzante e volitiva Lisetta, la figlia da maritare, sia per una voce sottodimensionata sia per la scarsa scioltezza nelle colorature. Nei panni del suo innamorato Filippo, locandiere, il baritono Giorgio Cauduro si è dimostrato convincente in scena, ben timbrato nelle agilità di forza, talvolta instabile nell’ascesa all’acuto. Pur dotato di mezzi gradevoli, il tenore Pietro Adaíni – nei panni del giovanotto ricco alla ricerca dell’anima gemella – ha avuto qualche difficoltà di tenuta, evidente soprattutto nella seconda aria. Fra i personaggi di questa vera e propria commedia degli equivoci, l’altra coppia figlia-padre era formata dal mezzosoprano Martiniana Antoine (una Doralice ben a fuoco grazie a una voce penetrante e ben timbrata) e dal basso Alejandro Baliñas, mentre Andrea Niño ha sbozzato una Madama la Rose di bella presenza e apprezzabile correttezza. Coinvolto in un impegno non particolarmente gravoso, il Coro del Teatro della Fortuna era preparato da Mirca Rosciani.
Carlo Rizzi ha guidato l’Orchestra Sinfonica G. Rossini con solido mestiere e prestando sempre attenzione ai cantanti. Peccato per una certa mancanza di vivacità della sua concertazione, senza quei guizzi che avrebbero potuto sveltire un’opera non priva di limiti teatrali. Appiattendo così pure quelle pagine, belle, che sono state appositamente concepite per La gazzetta e non provengono da altre opere.
Giulia Vannoni