L’acqua è il bene più prezioso di cui disponiamo. Senza il quale non potremmo fare nulla. Può sembrare scontato, ma come spesso accade ci accorgiamo dell’importanza di qualcosa quando arriva una crisi che rischia di portarcelo via. Ed è proprio ciò che sta accadendo con l’acqua: la profonda e prolungata siccità che da settimane sta colpendo soprattutto il nord Italia sta mettendo in estrema difficoltà gran parte del territorio romagnolo. Soprattutto dal punto di vista dell’agricoltura, con il ravennate in condizioni di elevata criticità.
In questo contesto, però, Rimini non sembra essere in una situazione particolarmente allarmante. Almeno per quanto riguarda l’acqua potabile. Alla fine di giugno, segnala Romagna Acque (il gestore unico delle fonti idropotabili romagnole) la Diga di Ridracoli (nella foto) registrava un livello di 28 milioni 200mila metri cubi d’acqua (su un massimo di 33 milioni). Numeri più bassi rispetto al 2021 (30 milioni 400mila nello stesso periodo), ma maggiori rispetto ai più recenti anni critici: 25 milioni 100mila (2017), 21 milioni 875mila (2007).
Dati lontani dalla soglia minima di prelievo (circa 5 milioni), e che dunque dovrebbero garantire il rispetto delle richieste idropotabili della riviera durante l’estate, che mediamente incidono per circa 15-18 milioni tra giugno e settembre. A questo si aggiunge, sempre a supporto del riminese, la Diga del Conca, attualmente quasi colma (1 milione 208mila metri cubi su un totale di 1 milione 303mila). In sostanza, dunque, siamo “salvi” grazie a Ridracoli?
Le scelte (e le polemiche) del passato
L’amministrazione di Rimini non ha dubbi in merito. “ Se la siccità sta mettendo in ginocchio molti territori, anche Rimini focalizza la sua attenzione, soprattutto d’estate, su questo problema. Ma va fatta una importante sottolineatura. – è l’intervento del Comune – La Romagna e la Riviera romagnola, in queste giornate bollenti, non vivono situazioni straordinarie o urgenti grazie alla lungimiranza e all’intelligenza di chi, decenni fa, ha avuto l’intuizione e la capacità di metterla in atto nella Diga di Ridracoli e di Romagna Acque.
Questa gestione intelligente e pubblica della risorsa idrica ha consentito e consente quegli investimenti strategici la cui importanza la registriamo proprio ora, in cui territori a noi vicini sono chiamati purtroppo a misure emergenziali sul consumo di acqua. Investimenti che adesso diventano per l’agenda di governo locale ancora più prioritari e importanti, al fine di evitare future sofferenze causate dall’assenza di pioggia che possano compromettere l’approvvigionamento di acqua potabile”. Un’opera, quella della Diga di Ridracoli, che però non nacque in un contesto facile. Negli anni della sua realizzazione (anni ’80), infatti, fu molto acceso il dibattito.
Soprattutto a Rimini, dove era forte la spinta a prediligere quella che indubbiamente è tra le fonti idriche principali di tutto il territorio, la conoide del Marecchia, rispetto ai grandi investimenti che un’opera come la Diga di Ridracoli avrebbe implicato.
Il dibattito oggi
La diga, poi, fu realizzata e il resto è storia. Ma oggi è ancora possibile un dibattito su questo? Il tema dell’acqua sarà sempre più centrale in futuro, e proseguire la discussione su ciò che si è fatto, su ciò che si farà e su ciò che si sarebbe potuto fare è fondamentale. Tra coloro che vissero in prima persona quel periodo e che, di conseguenza, furono parte del dibattito c’è Gianni Gurnari (nella foto), ingegnere e idrogeologo riminese da oltre 50 anni impegnato a livello internazionale proprio sui temi dell’acqua. E che proprio sulla situazione di oggi, in relazione alle scelte del passato, torna a riflettere.
Ingegnere, Rimini oggi è in una “bolla privilegiata” grazie alla Diga di Ridracoli?
“ Non sono d’accordo con questa lettura. L’idea di Ridracoli nacque come speculazione politica, anche se derivava da necessità reali. Necessità che, però, non erano di Rimini.
La sua realizzazione doveva soddisfare il fabbisogno di circa 35 Comuni, che erano in prevalenza Forlì, qualcuno del cesenate e molti del ravennate. E così si è deciso di costruire un’opera colossale, dai costi elevatissimi. Per diversi motivi: realizzata in una zona a sismicità elevata, con la necessità quindi di renderla sicura; si tratta, inoltre, di acque superficiali, che quindi necessitano di uno specifico trattamento per essere rese potabili.
Trattamento molto sofisticato, che non solo ha grandi costi ma rende l’acqua molto aggressiva, che da una parte compromette la qualità finale e dall’altra va a ‘bruciare’ i tubi d’acciaio che attraversa. Non solo. Altra questione: oggi sono aumentati i Comuni serviti da Ridracoli e l’acqua presente non può più essere 33 milioni di metri cubi. Non so quanto possa essere, ma a livello statistico, guardando ad altri bacini di questo tipo, il volume d’acqua non può essere lo stesso. L’acqua di Ridracoli, dunque, presenta importanti questioni su cui riflettere, su quantità e qualità”.
Non è, però, oggettivo che oggi senza Ridracoli saremmo in grande difficoltà?
“No, è il contrario. Perché senza l’acqua dei pozzi della conoide del Marecchia, Ridracoli non potrebbe soddisfare tutta la domanda. Guardando a oggi, ad esempio, senza il Marecchia, Ravenna non avrebbe acqua. Ridracoli, dunque, certamente rappresenta una fonte idrica integrativa, ma è il Marecchia la risorsa più preziosa di cui il territorio dispone”.
Quali scelte si sarebbero dovute fare, dunque, a suo parere?
“Si sarebbe dovuto investire sul Marecchia.
Il progetto di Ridracoli è stato concepito e realizzato per un’esigenza. Reale, certo, ma che non era la nostra. Oggi l’opera c’è, la teniamo per buona, ma dobbiamo concentrare i nostri sforzi, le nostre economie e il nostro futuro su quella che è la risorsa principale della Romagna, la conoide del Marecchia (che vale almeno tre volte Ridracoli, tanto che quest’ultima se ne serve per sopperire alle proprie carenze). In più si tratta di acque sotterranee, di maggiore qualità e valore”.
Guardando alla situazione di oggi, però, non è comunque meglio avere la Diga di Ridracoli piuttosto che non averla?
“Il problema è che non rivolgendo le nostre forze verso il Marecchia si arrivi al rischio di perdere una fonte fondamentale come questa. Ed è ciò che accade: per non aver fatto nessuna politica di gestione sul Marecchia oggi rischiamo di perderlo. Da una parte per ingressione salina, dall’altra per alterazione del quadro chimico, legata alla mancanza di controlli sul suolo. Da non sottovalutare, inoltre, l’aumento delle superfici impermeabili a causa della estrema urbanizzazione. Come agire, dunque?
Sviluppando una vera cultura dell’acqua, in modo che l’acqua non sia considerata la ‘cenerentola’ delle nostre risorse. Occorre una gestione più razionale, più pratica e meno ideologica, con al centro la nostra risorsa e non gli interessi di settore. Un cambio di direzione che necessita di tempo ma che, purtroppo, non credo ci sia la volontà di mettere in atto”.