Conservare, ampliare, studiare e, soprattutto, rendere accessibili i materiali custoditi sono i compiti delle biblioteche e degli archivi, ecclesiastici oltre che laici. Perché il cristiano, come ammonisce il Papa, non può pensare di preservare la sua identità ritirandosi dallo spazio culturale.
Per rispondere a queste esigenze la CEI già da due anni ha promosso le giornate di valorizzazione del patrimonio culturale ecclesiastico. Venerdì 20 maggio sarà giornata di valorizzazione del patrimonio culturale ecclesiastico.
Alle giornate in programma nel maggio di quest’anno hanno aderito anche gli istituti MAB della nostra diocesi: Archivio diocesano “Card. G. Garampi”, Biblioteca diocesana “Mons. E. Biancheri” e Museo diocesano “Tesoro della cattedrale”, con il patrocinio dell’Istituto superiore di scienze religiose.
La mostra, allestita nella Sala “San Gaudenzo” venerdì 20 dalle 16 alle 18, ha per titolo “ Figure di santità femminile. Alle radici della comunità ecclesiale di Rimini”.
Verranno esposti due reliquiari conservati al Museo diocesano e documenti custoditi presso l’archivio storico e la biblioteca. Alcuni dei pochi scampati alle soppressioni napoleoniche e alle devastazioni della guerra.
I materiali in mostra, che riguardano tre figure di donne: due dei primi secoli, Colomba e Innocenza, e una del basso Medioevo, Chiara da Rimini, aiutano qualche riflessione.
Per prima cosa fanno scoprire significati del culto delle reliquie che oggi sembrano “appannati”. Esso nasceva invece dalla volontà di difendere la propria identità culturale e sociale, e, ancor più, dal bisogno di avere segni capaci di ricordare la testimonianza che i santi avevano lasciato in eredità, di aiutare a ringraziare Dio che li aveva sostenuti nel cammino di santità, di ravvivare la fede, la speranza e la carità, di “dire” affetto, pietà, richiesta d’intercessione e di benedizione.
Dimostrano inoltre che i paradigmi di santità “al femminile” – martiriale per Colomba e Innocenza; più calata nella quotidianità della storia per Chiara – non si discostano nella sostanza dai contemporanei paradigmi di santità “al maschile”. Per tutti valgono i medesimi atteggiamenti: testimonianza, preghiera, attenzione ai poveri.
Infine sono prova di come il culto di queste sante si sia mantenuto costante nei secoli coinvolgendo intensamente anche la cura dei pastori della Chiesa riminese, che, in particolare nel XVIII secolo, sentirono la necessità di dare riconoscimento ufficiale alle devozioni tradizionali. Era un modo di interagire con la cultura del secolo, che combatteva la fede e l’autorità della rivelazione in nome della ragione, che imponeva nuove prassi scientifiche, che mirava a fare della religione lo strumento di sacralizzazione del potere dei principi. Interagire non per condannare, ma per continuare ad essere testimoni dell’incompiutezza del sé e dell’apertura a un infinito che ci trascende, ma che non ci è indifferente. Una strada anche per l’oggi?
Cinzia Montevecchi