Se alle parole (spesso retoriche) che vengono pronunciate in occasione della festa della donna, seguissero i fatti, già buona parte delle differenze di genere sarebbero in via di soluzione.
Purtroppo, però, non è così. Come abbiamo già scritto e documentato, a Rimini, seguendo questi ritmi, un effettivo avvicinamento tra il tasso di occupazione maschile e femminile, ci potrà essere, se tutto va bene (ma come si vede la storia non procede in modo lineare) solo e solamente nel 2080. Non proprio nell’immediato! Un requisito base, oltre alla creazione di posti di lavoro adeguati (ricordiamo che la maggioranza dei giovani laureati di questa provincia sono da tempo donne), è la presenza sul territorio di servizi che aiutino a rendere effettivo il diritto al lavoro e alla parità.
La cui assenza, è bene ricordarlo, ha ricadute anche sulla natalità. Figurarsi in un territorio come quello riminese dove da anni, i decessi, superano le nascite. La carenza di servizi per l’infanzia, nonché la loro modalità di svolgimento, sono, quindi, uno degli ostacoli più importanti per tutte le giovani mamme.
Causa, con molta probabilità, della rinuncia al lavoro, in provincia di Rimini, eufemisticamente chiamate ‘dimissioni volontarie’, solo nel 2020, di 221 neo mamme. Per non restare nel generale abbiamo sentito due giovani mamme, che per ragioni di riservatezza non citeremo, entrambi occupate, una a tempo pieno in una azienda industriale, l’altra part-time in una scuola privata.
La prima ha una bimba che quest’anno finisce la scuola materna e di recente è diventata mamma per la seconda volta. Il suo orario prevede otto ore giornaliere ed il rientro a casa non prima delle 18. Il nido prima, e la materna poi, terminano il loro servizio alle ore 16. Se non ci fossero i nonni e il marito, con una certa flessibilità lavorativa, a coprire il buco di due ore, tra l’uscita dalla materna e il rientro, non saprebbe come fare.
La seconda, mamma di un bimbo che non ha ancora compiuto tre anni, pur lavorando metà giornata, ha diversi rientri pomeridiani, a volte fino a tardi. Anche in questo caso il nido chiude alle 16 e senza la nonna, arruolata in servizio permanente effettivo al ritiro e gestione pomeridiana del nipote, lavorare le risulterebbe una impresa molto difficile.
Questo quando tutto va bene. Ma i bimbi e le bimbe, soprattutto d’inverno, speso di ammalano, allora i buchi da coprire non sono ore, ma giorni e a volte intere settimane.
Non è una realtà nuova, lo sappiamo, ma bisogna ribadirlo per dire che le parole sulla parità diventano vuote se non si lavora per approntare servizi per l’infanzia adeguati. La gratuità, introdotta in Emilia-Romagna, sotto la soglia Isee di 26.000 euro, è una ottima cosa, ma se non ci sono posti diventa una opportunità teorica. Dal sito del Comune di Rimini, nella pagina dedicata ai servizi per l’infanzia, si legge che “i minori in lista di attesa potranno essere chiamati a copertura di eventuali posti fino al 31 gennaio 2023”. Ma se una mamma lavora cosa deve dire al suo datore, che tornerà tra un anno?
Ovviamente è impossibile, a quel punto il dilemma spingerà per la rinuncia al lavoro, come purtroppo tante sono costrette a fare.
Interessante è anche vedere come si stilano le liste, cioè quali sono i criteri impiegati. Tra questi, il modulo (componente C2) chiede anche notizie sui nonni: nome e cognome, se sono vivi, residenti nel comune o altrove, di età superiore a 80 anni o meno, occupati, ecc…
Si sa, i nonni sono sempre disponibili e non si tirano indietro. Ma che possano avere un peso nella compilazione delle liste per gli asili è possibile solo perché alla carenza di posti, il vero problema, bisogna trovare un qualche criterio per giustificare una graduatoria, che ne include qualcuno ed esclude altri. Quindi se hai i nonni vicino sei penalizzato/a rispetto a chi li ha lontano, perché a distanza non possono fungere da servizio in seconda istanza. In sostanza il Pubblico arruola i nonni, come truppa di complemento, al servizio infanzia comunale, poco rispettoso della loro libertà di scegliere. Che non viene minimamente presa in considerazione.
Ma la disponibilità dei posti non è tutto. Perché se anche non ci fossero liste di attesa, l’uscita alle 16, quando nessuna donna che lavora, escluso, forse, le insegnati, torna a casa prima delle 18, lascia comunque aperto un buco di due ore, che aggi coprono principalmente i nonni, quando ci sono. Qui è proprio l’intero servizio che va ripensato: se è un servizio per le mamme, con una attenzione particolare a quelle che lavorano, deve coprire l’intero orario di lavoro. Come in fondo fa l’asilo aziendale del Gruppo Maggioli, che apre alle 8 e chiude alle 18. Ma è l’unico in provincia di Rimini. Le altre imprese latitano. Allora devono essere i comuni a farsi carico del problema.
Con i fondi dell’Europa il presidente dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, ha annunciato, nel novembre scorso, la messa in cantiere di un “piano regionale per azzerare liste d’attesa e rette dei nidi, facendone un servizio universalistico nell’arco della legislatura, da realizzare per la prima volta attraverso l’utilizzo dei fondi europei”.
Speriamo che i comuni della provincia di Rimini abbiano preso nota. Perché in caso contrario, non avrebbero giustificazioni per i ritardi.
Intanto, in lista d’attesa definitiva per la scuola d’infanzia (da 3 a 6 anni) comunale per l’anno 2022/2023 ci sono, nel comune di Rimini, ben 275 bimbe e bimbi, cui si sommano altri 77 medi e 31 grandi, per un totale di 383 esclusi. Numero maggiore delle 370 domande complessivamente accettate. Non va meglio per i nidi comunali (da 3 mesi a 3 anni) dove in lista d’attesa sono 250 e gli accolti 221.
Questo fa un totale, per la fascia 3 mesi-6 anni, di 633 posti mancanti. L’Amministrazione farebbe bene, per dissipare ogni dubbio circa il suo impegno, a mostrare un crono programma di recupero. L’annuncio del nuovo asilo Girotondo, in via Codazzi (zona Ina Casa), che potrà accogliere 84 bambini, più altri quattro (a Marebello, Viserba, ecc…) candidati ai finanziamenti del Pnrr, vanno nella giusta direzione e speriamo riescano a coprire i posti mancanti.
Perché senza servizi per l’infanzia le pari opportunità sono solo una chimera.