Qual è il nesso tra quanto sta tragicamente accadendo in Ucraina e l’istanza pacifista? Che fare, nelle attuali condizioni, se si vuole essere pacificatori?
Il pacifismo tradizionale del XX secolo – noto come pacifismo di testimonianza – oggi non è in grado, da solo, di far avanzare la causa della pace. Esso continuerà ad essere un’opzione della coscienza individuale, degna della massima tutela giuridica e della più ampia considerazione sociale; ma il mantenimento della pace in terra esige, nelle attuali condizioni storiche, molto di più. E ciò per due ragioni fondamentali. La prima è esterna al pacifismo: sono mutate sia le cause sia la natura della guerra, come ben si sa. Giovanni Paolo II è stato fra i primi a comprendere questo fatto.
Nel suo primo Angelus del 2002, il Papa disse: “ Forze negative, guidate da interessi perversi, mirano a fare del mondo un teatro di guerra” (corsivo aggiunto). Parole inquietanti che sanno non solo di profezia, ma soprattutto di atto d’accusa politica.
La guerra continua a rimanere un’opzione possibile nelle agende politiche. Con il che il destino economico e sociale dei singoli paesi e popoli continua ad essere ignorato e trattato strumentalmente.
La seconda ragione riguarda, invece, lo stesso pacifismo di testimonianza, il quale è oggi afflitto da una sorta di paradosso: da una parte, ha bisogno della guerra per rivendicare la pace; dall’altra, reagisce molto tiepidamente (fino ad ignorarle) a quella miriade di conflitti che coinvolgono popoli “marginali”, ma che sono poi quelli che preparano la via alla guerra guerreggiata.
La guerra in sé non viene chiamata in causa, ma vengono denunciate le singole guerre, di cui si va alla ricerca delle cause “locali”. Come ha scritto M. Albertini (1984), il pacifismo di testimonianza coltiva “ il sogno di eliminare la guerra senza distruggere il mondo della guerra”. E un primo intervento in tale direzione è quello di rivedere radicalmente le regole del mercato globale delle armi. (La Russia è il secondo esportatore al mondo di armamenti, dopo gli USA. Il trattato sul commercio di armi convenzionali, mentre è stato ratificato dalla UE, non è stato firmato da USA, Russia e Cina. Ancora più preoccupante è la mancata revisione del trattato di non proliferazione nucleare).
Ecco perché è urgente muovere passi veloci verso un nuovo pacifismo, quello che chiamo istituzionale e il cui slogan potrebbe essere: se vuoi la pace prepara istituzioni di pace (vale a dire, si vis pacem, para civitatem).
Stefano Zamagni
Continua alle pagine 6 e 7 de ilPonte di domenica 3 aprile