Norma di Bellini al Teatro Regio di Torino, ripresa di uno spettacolo con le scene di Ezio Frigerio e i costumi di Franca Squarciapino
TORINO, 20 marzo 2022 – Da quando i teatri hanno ripreso a funzionare regolarmente Norma è tornata a essere uno dei titoli più gettonati. Giusto, del resto, che sia così. L’opera di Bellini rappresenta infatti un capolavoro inossidabile capace ogni volta di emozionare, svelando sfumature inedite quando la si ascolta, fosse pure l’ennesima occasione. Anche il Teatro Regio di Torino si è inserito nella lista, riproponendo uno spettacolo concepito per Napoli sei anni fa.
Principale motivo d’interesse le scene realizzate dal grande Ezio Frigerio (è stato persino candidato all’Oscar), scomparso nel febbraio scorso: una suggestiva selva dove troneggia la quercia d’Irminsul e, in lontananza, s’intravedono lampeggiare fiamme, realizzate con immagini video da Sergio Metalli. A impreziosire ancor più la cornice si aggiungevano i costumi, magnifici nella loro ieratica classicità, di Franca Squarciapino. Confidando quasi esclusivamente sull’efficacia degli aspetti visivi, il regista Lorenzo Amato ha avuto gioco facile e si è limitato a un’unica trovata, quella dei due bambini – i figli di Norma – che, sfuggiti al controllo degli adulti, osservano di nascosto il cadavere di un guerriero ucciso: sintesi perfetta delle atrocità di tutte le guerre.
Se questa Norma non ha riservato particolari sorprese sul piano registico, l’attenzione – giustamente – era concentrata sul versante musicale. A cominciare dalla protagonista, Gilda Fiume, capace di regalare non poche emozioni. Storicamente il ruolo di Norma è stato sempre al centro di un dualismo interpretativo, caratterizzato dall’alternanza fra soprani drammatici di agilità e lirici di agilità. Oggi l’ago della bilancia pende senz’altro a favore di questi ultimi, tra i quali rientra pure la stessa Fiume, che si è imposta grazie soprattutto a un’elegante linea di canto e alla sicurezza dimostrata nell’intera altimetria vocale, con ‘messe di voce’ sempre molto belle. D’altronde si tratta di un’allieva di Mariella Devia, che delle Norme lirico-di coloratura ha rappresentato la quintessenza fino a pochi anni fa.
Né erano da meno tenore e mezzosoprano. Dmitry Korchak ha sfoderato accento fiero, colore prezioso, acuti abbaglianti: un Pollione espressivo, capace di rendere la trasformazione di un personaggio preda prima dei suoi raptus erotici, e poi in grado di riscoprire un’inedita dignità. Annalisa Stroppa, come Adalgisa, ha costruito – anche grazie al suo autentico timbro mezzosopranile – un personaggio combattuto fra richiami della sensualità e solidarietà femminile, attrazione fisica e senso del dovere. Meno a fuoco il basso Fabrizio Beggi, un Oroveso sonoro ma in difetto di autorevolezza e incisività. Il soprano Minji Kim era una convincente Clotilde e il tenore Joan Folqué un corretto Flavio. Pregevole pure il contributo del coro, preparato da Andrea Secchi.
Dal podio Francesco Lanzillotta ha impresso un’apprezzabile varietà dinamica alla sinfonia e ai tanti passaggi solo strumentali, ottenendo dall’Orchestra del Teatro Regio belle sonorità, in cui si distinguevano – sempre con grande chiarezza – l’intreccio dei temi musicali, e si percepiva quella marmorea classicità che nell’opera di Bellini è riconducibile al libretto di Felice Romani (1831). Forse non altrettanto icastico è apparso l’accompagnamento vocale: un po’ più monocorde, con il rischio latente di rendere meno incisive le grandi arcate melodiche, dal significato importantissimo in quest’opera. Smorzando così il meraviglioso lirismo che permea la musica belliniana.
Giulia Vannoni