Da sempre amato dal grande pubblico, Beppe Carletti, 75 anni, leader, e nel 1963, cofondatore con Augusto Daolio dello storico gruppo musicale de I Nomadi, si racconta tra musica, impegno solidale e di pace in Italia e all’estero. L’occasione è data dal ciclo d’incontri online su Testimoni di speranza, promosso dall’onlus Punto Giovane di Riccione, che venerdì 4 marzo continuerà con don Gianni Castorani e il 18 marzo col teologo e scrittore Paolo Curtaz, sempre in streaming su Zoom e il canale Youtube di Pregaudio, dove le serate si possono rivedere.
Prossima l’uscita del nuovo cd di Beppe Carletti, mentre da questo fine settimana riparte il nuovo tour de I Nomadi, gruppo italiano pop rock più longevo, nel mondo secondo solo ai Rolling Stones.
Diritti umani e solidarietà, dove trovano in voi radice?
“Nel 1990 Augusto in tv vide una mostra di disegni in bianco e nero di bimbi palestinesi, era un pittore e rimase impressionato, scrisse quindi un testo che ho poi musicato, I ragazzi dell’ulivo, un 45 giri donato a un’associazione per fare qualcosa in Palestina. Da quella piccola iniziativa, dopo la scomparsa di Augusto, ho cominciato a viaggiare per il mondo, facendo alcune opere.
Il primo viaggio col gruppo l’ho fatto a Cuba, dove nel 1994 c’era un incredibile e assurdo embargo. Abbiamo raccolto matite e quaderni, non riesco a descrivere la gioia dei bambini a scuola nel riceverli, mica come ora da noi che dev’essere tutto griffato! Sono poi stato in India, dove ho incontrato il Dalai Lama, e in Palestina, dove ho conosciuto Arafat, incontri incredibili che non avrei mai pensato di fare con persone eccezionali che hanno dato la vita per il loro popolo. Ho girovagato il mondo, portando un po’ di aiuti per quel che potevo, col sostegno dei nostri fan club, un centinaio in tutto”.
Viaggi che hanno fatto toccare con mano dure realtà?
“In Cambogia, l’amico Scarpati, mi invitò a conoscere l’incredibile mondo della baby prostituzione. A Phnom Penh mi portò nella Casa dei bambini dei mille giorni, raccolti in quel giro. Erano tutti affetti dall’Aids, per cui quando andavano in quella struttura, campavano non oltre mille giorni. Ne avevo preso uno in braccio, dopo quindici giorni mi dissero che era morto.
Sempre in Cambogia, sollecitato dalla direttrice dell’ospedale di Battambang, abbiamo costruito una casa, che vado sempre a vedere, perché quando si fa solidarietà, le cose vanno seguite. Poi in Madagascar abbiamo costruito una scuola nella foresta pluviale e un polo scolastico con mensa ora frequentato da 600 bambini, nel Laos una casa per le bambine, in Vietnam invece ne abbiamo presa una in affitto per le bambine, evitando che, prelevate dalle famiglie con la promessa di farle studiare, finissero invece per farle prostituire”.
Da cosa è generata la sua voglia di aiutare il prossimo?
“Nelle nostre canzoni è sempre presente la speranza, serve a rendere le cose più belle e a far capire che si può migliorare.
La speranza è importante, guai a non averla! Come si fa a non sperare che le cose vadano bene, dovremmo volerci davvero male! Io sono positivo per natura, se mi guardo intorno devo ritenermi non fortunato, ma fortunatissimo. La positività è fondamentale per chi ti sta vicino e per chi incontri. Bisogna essere fiduciosi, al mattino quando mi alzo, ringrazio sempre di essere vivo e nonno di quattro bimbi che danno allegria e gioia”.
Insomma, un grande impegno nel sociale?
“Nel sociale s’impegnano tantissime persone che non vengono mai citate e questo mi dispiace, noi abbiamo visibilità e per questo se ne parla spesso. Non sono mai andato a bussare alla porta del direttore del Tg Rai o Mediaset per dire questo.
Le mie vacanze sono l’andare in questi posti e, quando posso, dare piccoli aiuti, briciole, ma se ognuno ne dà una, si fanno delle belle pagnotte”.
L’ultimo album Solo esseri umani, scandisce tre parole: Valori, Amore e Vita. E avverte: “Non chiudete la porta della coscienza , buttando le chiavi con indifferenza”.
“È un concetto importante, fotografa il momento che viviamo. In giro c’è un’indifferenza che mi fa star male e, purtroppo, non c’entra niente col Coronavirus. C’è egoismo e individualismo. Una volta ci si voleva tutti bene, c’era voglia di stare insieme, ora ognuno pensa per sè e ai propri interessi, non dobbiamo essere indifferenti a quello che ci accade intorno o addirittura girare le spalle”.
Da anni interpretate Dio è morto di Guccini, censurato dalla Rai, ma trasmesso da Radio Vaticana, un paradosso.
“Credo che chi allora censurò quel pezzo, non l’abbia mai ascoltato, né abbia letto il sottotitolo: dopo tre giorni risorge. Quel disco lo abbiamo dato a Paolo VI: lo prese e la foto fece il giro del mondo”.
Tra gli incontri quello con Giovanni Paolo II?
“L’ho desiderato tanto.
Suonando nella piazza del Vaticano, nell’aria ho avvertito qualcosa ed è arrivato Wojtila, gli ho baciato la mano, mi ha dato un’emozione grandissima, io piccolo musicista ho avuto una grande occasione che non è da tutti. Queste cose non ti arricchiscono il portafoglio, ma l’anima”.
Alle spalle c’è anche l’esperienza fatta da bambino?
“Sono stato avviato in chiesa da mia nonna che faceva parte dell’Azione Cattolica. In casa mia c’era lei e il pugno alzato, ma mio nonno le diceva sempre: ‘tu vai pure in chiesa e fai quello che vuoi’. Quando a Natale si preparava il presepe però anche lui si univa agli altri per fare le statuine. Mia nonna mi amava, ero il suo nipote primo, andavo a messa con lei la domenica alle 7, ci tornavo alle 9 con gli amici per avere il panino dolce, alle 17 c’erano poi i Vespri. Ero anche un po’ il divetto dell’oratorio, perché a nove anni suonavo già la fisarmonica! Sono stati momenti bellissimi. Per cinque anni con il parroco del paese andai anche in colonia, in montagna”.
L’oratorio ha dunque inciso?
“Il ritrovo all’oratorio era fondamentale, le famiglie quando potevano mandarci i figli erano felici perché sapevano che lì erano contenti e protetti, ha fatto bene a me e ai miei coetanei, nessuno di noi nella vita ha fatto cose brutte, hanno tutti un’anima pulita”.
La tenaglia della pandemia si allenta, riparte il tour?
“Riparte con grande soddisfazione per tutti noi. A differenza degli ultimi due anni, finalmente si ricomincia in marzo nei teatri, il 5 a Roma, il 14 a Milano e il 16 a Bologna, poi seguiranno altre date in tutta Italia”.
Uscirà, intanto, un cd di Beppe Carletti?
“A fine aprile. Racchiude tredici pezzi, musiche tratte da film e da due cortometraggi ( Gocce di luce, ambientata durante il lockdown e che lo vede interprete di se stesso, e Passi di danza della regista Silvia Monga), che ho avuto l’onore di musicare”.
Come Nomadi cosa prepara?
“Ora puntiamo sul tour, poi alla nomade prepareremo i festeggiamenti per il nostri 60 anni che spero di festeggiare a Novellara e a Riccione”.
Tanto più che dal 1999 Beppe Carletti è pure cittadino onorario di Riccione e non a caso.
“Io e Augusto siamo venuti a suonare qua già a 16 anni.
Nell’estate 1963, per 77 giorni consecutivi, ci siamo esibiti al Frankfurt Bar in zona Alba, un’ora al pomeriggio e tre la sera. Ricordo una notte con un diluvio universale e un grande allagamento, abbiamo girato per i viali con il canotto. Pensate un po’, siamo stati catapultati da due paesini della bassa Padania nella patria del divertimento. A Riccione nel tempo siamo tornati tantissime volte, anche per la prima Festa nazionale degli obiettori di coscienza (organizzata da Comunità Aperta), per la tre giorni del nostro quarantennale, per Capodanno, per l’inaugurazione del parco dedicato a Chico Mendez”.
Nives Concolino