Il servizio di Ministro straordinario dell’Eucaristia è un gesto di carità della Chiesa “perché non restino privi della luce e del conforto di questo sacramento i fedeli che desiderano partecipare al banchetto eucaristico e ai frutti del sacrificio di Cristo” (Immensae caritatis).
Nelle comunità della Diocesi di Rimini abbiamo il dono di avere alcuni Ministri Straordinari della Comunione Eucarestica chiamati a portare la S. Comunione agli infermi e agli anziani che non possono partecipare alla Messa in chiesa; e aiutare il sacerdote nella distribuzione dell’Eucarestia durante le celebrazioni in chiesa.
Mirella Fabbri e Cristian Castellani sono due Ministri Straordinari della Comunione Eucaristica, entrambi della parrocchia del Crocifisso di Rimini.
Cosa succede quando bussate alla porta di un ammalto?
Mirella: “Tutte cose molto belle: ti senti accolto, aspettato non come persona ma come strumento che porta in quella casa, a quelle persone la cosa più importante che hanno: Gesù eucaristia” Cristian: “I malati che mi sono stati donati mi aspettano, qualcuno ha già preparato la candela accesa e il crocifisso: aspettano Signore e anche la comunità. Perché non è Cristian che va a casa loro ma è tutta la comunità, ed io come primo gesto porto sempre loro il saluto della comunità. Per tutta risposta, il volto di molte persone si illumina. Molto spesso quando sono al culmine della malattia e del dolore sono volti trasfigurato e faticano a riconoscerti ma se ti avvicini li vedi illuminati e questo incontro procura una gioia immensa”.
Come avete intrapreso questo servizio?
Mirella: “Suor Bertilla svolgeva in servizio della comunione in parrocchia proprio agli ammalti della mia zona. Ventuno anni fa mi ha semplicemente confidato che sentiva i primi acciacchi della vecchiaia. «Ho bisogno di qualcuno che prenda il mio posto, vedo in te una persona giusta». Mi sono fidata del suo giudizio, e mi sono messa in cammino. L’«eccomi» di 21 anni ancora risuona nel mio cuore e nella mia vita.
Ad una condizione: sarei rimasta ministro fino a quando ci sarebbero stati ammalati a cui portare comunione: il senso di essere ministro straordinario dell’Eucaristia è arrivare nelle case dei malati”.
Cristian: “Undici anni fa l’allora parroco del Crocifisso, don Paolo Donati, mi chiese se ero disponibile a diventare ministro straordinario della comunione eucaristica. Nella beata incoscienza ho detto sì, pensando che il servizio del ministro fosse distribuire la comunione durante celebrazioni aiutando il parroco.
Durante la prima lezione del corso (del quale Mirella era una docente) ci illustrarono cos’era, cosa doveva fare e come incontrare i malati.
La parabola evangelica del Buon Sammaritano, che vede, ha compassione e soccorre il viandante ferito e abbandonato, fu il trampolino di lancio di questa ‘avventura’.
Nel tragitto dal Seminario Diocesano a casa mia piansi prendendo coscienza della grande responsabilità contenuta in questo servizio. Ero tentativo di non proseguire il cammino ma ormai Qualcuno aveva già suonato al campanello e strattonato alla collottola e decisi di continuare. E fu la mia fortuna.
Mi si aprì un mondo immenso, al quale non avevo mai pensato: il malato e la sofferenza. In questi anni ho ricevuto ben più di quanto sono riuscito a dare.
Tanti incontri, tante persone: nella sofferenza ho rinvenuto il vero volto di Dio. Debbo ringraziare per quella proposta che dieci anni fa mi è stata fatta: è un dono. Ero partito mettendo una scadenza al servizio, dicendo che era temporaneo e poi avrei lasciato: avrei commesso l’errore più grande della mia vita”.
Entrambi avete svolto il servizio anche presso l’ospedale “Infermi” di Rimini. Che esperienza è?
Mirella: “Ho fatto servizio per molto tempo in ospedale: c’è un bisogno enorme, e persino la sola presenza del ministro è significativa”.
Cristian: “Mi lascio prendere dalla paura, non quella che blocca bensì quel timore che ti stimola e tiene solerti. Prima di entrare nei vari reparti, emetto un bel sospiro perché mi sento indegno, quasi non ce la faccio. Poi guardo il volto del Signore nel crocifisso che ho di fronte e nella teca che ho in mano, e vado”.
Quando partite per visitare un malato e la sua casa, la sua famiglia, quale pensiero vi guida?
Mirella: “Ogni volta mi sento uno strumento in mezzo a lati: il desiderio dell’ammalato di ricevere Gesù eucarestia e l’esigenza fortissima di Gesù di arrivare in quella casa, in quelle abitazioni, da quelle persone con quei volti e quelle storie.
Il desiderio del malato è importante ma quello di Gesù di entrare nelle case dei più fragili, accompagnato e sorretto.
Inizialmente ero molto concentrata su me stessa, sui piedi non degni di portare Gesù, sulle mani indegne di portare Gesù. Poi qualcuno mi ha aiutato ad alzare lo sguardo, a non guardare me stessa ma Gesù che si fida di me, e si consegna a me in modo tale che io lo possa portare a chiunque lo desideri”.
Cristian: “È importante saper ascoltare, non arrampicarsi sugli specchi, con discorsi molto filosolofi ci o teologici.
Il silenzio stesso è parola guaritrice. Molto spesso incontro malati che pongono tante domande esistenziali: «perché la malattia? Perché il dolore? perché proprio a me? Dov’è Dio?». Cerco sempre di offrire una parola di conforto. Il primo passo è l’ascolto, e lo sguardo: le persone vanno guardate e ascoltate. Terminata la parte rituale, prima di accomiatarmi, gli ammalati manifestano dispiacere: «Mi raccomando, ritorna domenica prossima? Ci sarai sempre tu?». Anche con i familiari si instaura un rapporto, che prosegue anche quando gli ammalati sono deceduti. Resta un legame, un ricordo non di Cristian ma della comunità e di ciò che rappresento”.
Com’è stato possibile il vostro servizio durante la pandemia? Con quali limitazioni avete dovuto convivere?
Mirella: “Per la verità, non ho mai smesso di portare Gesù eucaristia perché sempre ci sono sempre stati ammalati che mi hanno chiamato anche durante pandemia. Solo durante il lockdown è stato interrotto il servizio. Appena è stato riaperto, sono ritornata da ammalati e familiari con tutte le cautele del caso.
Anche oggi, il sabato pomeriggio è interamente dedicato a questo servizio”.
Qualcuno scherzando sostiene che fare il “taxi di Gesù” è facile.
In realtà la vostra esperienza, Mirella e Cristian, ci fa comprendere che nel servizio del Ministro straordinario della comunione eucaristica c’è qualcosa di ben più grande misterioso. Siete anche voi missionari.
Come avete vissuto la Giornata del Malato?
Mirella: “Cercando di mettere al centro il più possibile le persone fragili. In chiesa sono state ascoltate le testimonianze di alcune persone che vivono la malattia in maniera positiva la malattia, ed è stata distribuita la Preghiera del Malato con l’immagine scelta per il 2022, invitando tutte le persone a consegnarla agli malati vicino a casa.
Nella Chiesa si parla dei malati facendo riferimento solo a chi desidera ricevere l’eucaristia. I malati che desiderano Gesù eucaristia sono sempre meno. Però non diminuiscono i malati. Questa situazione mi interroga: è forse giunta l’ora che il volto del ministro straordinario cambi? Ad esempio assumendo il volto del ministro della consolazione per andar ed essere Chiesa accompagnando agli ammalati che non domandano la comunione. Si può essere Gesù che si fa loro vicino, cura le ferite come balsamo, e magari può anche succedere qualcosa.
Anche questa è una missione. Di fronte a noi non c’è solo il malato ma tutta una famiglia, che incontri in un tempo difficile e con tante problematiche: anche questo è un momento di evangelizzazione”.