Non dimentichiamoci della plastica. Tra i temi di stretta attualità che caratterizzano questa epoca c’è quello della transizione energetica. L’esigenza, necessaria e urgente, di ripensare totalmente il nostro modo di produrre energia, abbandonando i combustibili fossili per abbracciare forme più sostenibili e pulite, pena la compromissione irreversibile dell’unica casa che abbiamo: la Terra.
Ma mentre si dibatte su quale sia l’energia più sostenibile e quali i passi da compiere per primi per il cambiamento, ragionando nell’ottica degli anni e dei decenni, non si può dimenticare che alcuni processi vanno cambiati nell’immediato, perché la situazione è già arrivata al limite.
Una su tutte: la plastica. La diffusione e l’impatto ambientale della plastica ha raggiunto, infatti, una dimensione tale che le conseguenze (dannose) le viviamo già sulla nostra pelle ogni giorno, senza nemmeno accorgercene.
A dimostrarlo è un recente studio del WWF condotto dall’Università di Newcastle, in Australia, che non lascia spazio a dubbi o tentennamenti: in media, a causa della plastica riversata in mare dall’uomo e assorbita dalla fauna acquatica, le persone nel mondo mangiano 2000 microplastiche (pezzi più piccoli 0,5 cm) a settimana, circa 21 grammi ogni mese.
E, stando a quanto afferma il WWF italiano, una delle aree in assoluto più critiche è il nostro Mediterraneo. In queste acque, infatti, ogni anno vengono gettate 229mila tonnellate di plastica, l’equivalente di 500 container interi al giorno, portando a un triste record: le acque mediterranee sono quelle in cui si registra la più alta concentrazione di microplastiche mai misurate in ambiente marino, 1,9 milioni di frammenti per metro quadrato. Un disastro, le cui conseguenze ci toccano da vicino: almeno 116 specie animali del Mediterraneo ingeriscono questa plastica, e oltre la metà di queste specie sono pesci che mangiamo quotidianamente. Si tratta di sardine, triglie, merluzzi, tonni, acciughe, orate, per non parlare dei crostacei e dei molluschi.
L’impegno di Rimini
Proprio sul tema della plastica in mare, Rimini si è messa in gioco per provare, almeno nel proprio piccolo, a invertire la tendenza. Con risultati incoraggianti. In questi giorni, infatti, è stato pubblicato un primo bilancio dell’attività delle barriere contro la plastica e i rifiuti in mare installate a Rimini la scorsa estate (foto piccola).
Bilancio positivo: in cinque mesi, le strutture (realizzate dall’azienda corianese Petroltecnica) hanno permesso di recuperare 200 bottiglie di vetro, 6,5 metri cubi di plastica, 50 lt di mozziconi di sigaretta, oggetti vari e 200 litri d’acqua con presenza di idrocarburi.
Nello specifico, la barriera antiplastica installata sulla sponda destra del deviatore del Marecchia, a 100 metri dal ponte di transito via Coletti, ha intercettato da agosto a oggi 5 metri cubi di plastica (oltre a diversi rami e arbusti), mentre la barriera ‘I Catsorb’ posta nella zona del ponte di Tiberio, adiacente al lato mare della passerella pedonale galleggiante, ha consentito di recuperare circa 200 bottiglie di vetro, 1,5 metri cubi di plastica, 50 lt di mozziconi di sigaretta e 200 lt di acqua con presenza di idrocarburi.
Le opere
La barriera antiplastica si basa su un sistema di raccolta che sfrutta il moto della corrente per convogliare e stivare all’interno di una sezione chiusa, detta “trappola”, i materiali plastici galleggianti dispersi nei corsi d’acqua. Il recupero delle plastiche raccolte, poi, viene effettuato manualmente e in condizioni di sicurezza dalla sponda del fiume e i rifiuti, confezionati in appositi contenitori ed etichettati, vengono conferiti negli impianti preposti da Hera.
A questa attività si affianca quella di un’altra struttura, chiamata “I CATSORB” (per indicare l’attività “io catturo e assorbo”): si tratta di piccole barriere galleggianti che catturano rifiuti di piccole dimensioni (come, ad esempio, i mozziconi di sigaretta) e idrocarburi eventualmente presenti negli specchi d’acqua più chiusi e, soprattutto, nelle acque del porto. Un sistema brevettato a livello internazionale per il quale Rimini vanta un primato: è stato installato per la prima volta in Italia (e nel mondo) proprio a Rimini, nell’area del Ponte di Tiberio, adiacente alla passerella pedonale galleggiante, con l’obiettivo di tutelare l’area naturalistica, di importante valore storico-culturale, nel canale che collega il Parco XXV Aprile al porto canale. Le barriere I CATSORB bloccano e contengono autonomamente i rifiuti galleggianti, le microplastiche e gli idrocarburi provenienti dal porto canale e dalle barche.
Risultati che soddisfano l’Amministrazione. “ Nel corso di questo periodo di sperimentazione – sottolinea Anna Montini, assessore all’Ambiente del Comune di Rimini – si è registrata un’importante e significativa riduzione delle plastiche che dal porto canale, soprattutto nel periodo estivo, insieme al vetro e mozziconi di sigaretta, arriva nello specchio d’acqua prospicente il parco XXV Aprile e al Ponte di Tiberio. Dal report periodico eseguito da Petroltecnica si evince che l’acqua è visibilmente più pulita e trasparente, priva di importanti fenomeni di degradazione organica, con assenza di residue iridescenze idrocarburiche che provengono dalle acque del porto canale.
Per quanto riguarda l’attività della barriera antiplastica posta alla foce del fiume Marecchia (deviatore), il quantitativo ridotto rispetto ad altri recuperati in altri fiumi di Italia, denota l’efficiente politica di conservazione e preservazione del fiume Marecchia nel territorio della provincia di Rimini, ma grazie alla barriera installata, anche il rifiuto residuo viene catturato.
Entrambe le barriere sono parte integrante del progetto ‘salvacque’, un programma voluto dagli enti locali, unico in Italia, sia per ridurre la presenza di rifiuti in mare e negli specchi d’acqua urbani, soprattutto di plastica, sia per favorire il riporto a terra dei rifiuti da parte dei pescatori”.