Home Attualita Analfabetismo funzionale: quando leggo non capisco

Analfabetismo funzionale: quando leggo non capisco

Non è raro, nella vita di tutti i giorni, incontrare giovani in difficoltà davanti a un foglio scritto. Fanno fatica a leggere il verbale di una contravvenzione e a capire la norma che hanno trasgredito oppure hanno difficoltà a leggere le istruzioni allegate a un apparecchio e a comprendere come funziona. Leggono quello che è scritto, ma ne afferrano con fatica il senso. Eppure hanno seguito studi scolastici per un certo numero di anni, talvolta fino all’Università.

Si parla talvolta di analfabetismo di ritorno, ma è inesatto. I giovani non hanno dimenticato qualcosa che avevano appreso, piuttosto sono sempre rimasti ad un livello di apprendimento della scrittura e della lettura molto elementare.

Malgrado gli studi fatti.

Il problema non va sottovalutato. Un buon livello di alfabetizzazione oggi è un requisito fondamentale per entrare nel mercato del lavoro e i giovani italiani rischiano di rimanere indietro rispetto ai loro coetanei europei.

elisabetta nigris: l'analfabetismo funzionaleCosa sta accadendo? Lo chiediamo a Elisabetta Nigris ( nella foto a fianco), professore ordinario, docente di Progettazione didattica e valutazione, Presidente del corso di laurea in Scienze della Formazione primaria all’Università Milano Bicocca.

Delegato del Rettore per la formazione degli insegnanti, ha coordinato il gruppo di lavoro ministeriale sulle nuove linee guida per la valutazione degli allievi.

In vari sondaggi europei (tra cui il rapporto Ocse-Pisa 2018) gli studenti italiani si collocano agli ultimi posti per la capacità di leggere e comprendere un testo. Come si spiega?

“Va subito detto che la difficoltà ad afferrare il senso di quello che si legge non riguarda solo l’ area della lettura.

Comprendere un testo e farlo proprio richiede, tra l’altro, competenze logico-matematiche oltre che linguistiche. Dunque la competenza linguistica non è disgiunta da quella logico matematica. Le due competenze devono venire ben integrate tra loro. Solo in questo modo si diventa padroni di quello che si legge, si riesce a riassumerlo in modo coerente, a farne uso nella vita quotidiana.

Alcuni studenti non accedono mai a questo livello superiore di alfabetizzazione, vale a dire al possesso della lingua e alla capacità di servirsene in vari modi. Si chiama analfabetismo funzionale. Altri raggiungono questo livello grazie agli insegnamenti della famiglia, non attraverso l’insegnamento scolastico. Proprio come accadeva già in passato”.

Cosa s’intende, più precisamente, per analfabetismo funzionale?

“Sono ragazzi che hanno imparato i rudimenti dello scrivere, del leggere e del far di conto, hanno cioè raggiunto una competenza minima, di base. Ma non sanno farne uso nella vita quotidiana per affrontare una vasta gamma di problemi pratici; ad esempio leggere il bugiardino di un farmaco che illustra le caratteristiche del medicinale e capire come usarlo.

Purtroppo la comprensione di un testo, il saper esprimere idee in modo logico sono competenze indispensabili per ogni lavoro, manuale o intellettuale che sia”.

Quale è la responsabilità della scuola?

“La scuola dell’obbligo avrebbe dovuto essere accessibile a tutti, ma nei fatti non si è tradotta in un maggior vantaggio culturale e formativo per tutti gli studenti. Non sempre ha favorito la maturazione delle loro capacità critiche. A tutt’oggi la scuola tende a trasmettere una grande quantità di contenuti, senza insegnare a studiare, vale a dire a far propri e rielaborare criticamente i contenuti appresi. Nello stesso tempo, la formazione continua degli insegnanti non è stata ben regolamentata. Questo ha costituito un grave limite.

Ha impedito di ripensare organicamente nuovi progetti di insegnamento e di adattarli alle problematiche emergenti”.

Oggi si parla di rintrodurre il riassunto come soluzione dell’analfabetismo strumentale…

“Non si tratta tanto di rintrodurre una pratica in disuso, come il riassunto; ma di pensare a delle strategie di apprendimento che favoriscano non solo l’imparare a leggere, scrivere, far di calcolo ma il loro uso e che consentano agli studenti di acquisire competenze utilizzabili per stare al mondo, per vivere e lavorare”.

L’analfabetismo strumentale è una realtà drammaticamente presente in Italia.

“L’analfabetismo strumentale o low skill learners, vale a dire il basso livello di competenza, è un fenomeno crescente nei giovani (e adulti), che sono così a rischio di esclusione sociale.

La percentuale di giovani low skilled tra i 16 e i 34 anni è superiore al 25%.

Tale fenomeno si interseca con quello sempre più frequente della dispersione scolastica, vale a dire l’abbandono della scuola prima di completare il corso di studi (sondaggi Eurostat, 2019) all’ interno della scuola dell’ obbligo o dei cicli successivi.

I ragazzi escono dal percorso scolastico senza aver acquisito, in base agli anni di frequenza, una qualità accettabile di istruzione e formazione.

L’Italia presenta uno dei tassi più bassi in Europa di mobilità educativa: il successo formativo è ancora molto influenzato dall’origine socio-economica e culturale della famiglia e non tanto o non solo dalle capacità personali dello studente (MIUR 2018)”.

Cosa bisogna fare?

“Bisogna aumentare gli investimenti nella formazione continua e nello sviluppo professionale degli insegnanti della scuola secondaria.

Nel contempo, è necessario potenziare programmi educativi che possano tradursi in proposte didattiche diversificate, che rispondano ai bisogni di formazione “di tutti e di ciascuno” e non solo di quegli studenti con maggiori possibilità di sviluppo cognitivo e culturale.

Per allinearci agli standard europei più avanzati, dobbiamo pensare a programmi centrati non solo sulla trasmissione di contenuti, ma sull’attivazione cognitiva dei ragazzi, che stimoli il ricorso in modo spontaneo e facile all’uso della lettura, della scrittura, del calcolo. Solo così potremo aiutarli a costruire -come dicevo- competenze adeguate per far fronte alle esigenze della vita personale, professionale e sociale”.

Lucia Carli