Una strage senza bombe uccide otto bambini e la pietà. Erano otto fratellini, dai 18 mesi agli 8 anni, nati uno di fila all’altro come accadeva cento anni fa nelle nostre campagne.
Attorno a Kabul: l’arrivo dei talebani, gli arresti, le fughe, le vendette.
Il padre e la madre di quegli otto, un giorno non sono tornati. Morto il padre, della madre malata di cuore e ricoverata non si conosce il destino, affermano un parlamentare afgano e Save the Children, che denunciano come gli otto fratelli siano morti di fame. Li hanno trovati in casa, rannicchiati a terra, abbracciati”. Così leggiamo su Avvenire , dopo la denuncia dell’organizzazione internazionale.
Uno di quei colpi che fa male allo stomaco e che per un attimo (e speriamo non solo per un attimo) ti interrogano, ti mettono a nudo nella tua ipocrisia di persona a parole impegnata, ma nei fatti seduta comodamente sul divano. Sì, proprio quel divano che Papa Francesco cita ad ogni piè sospinto nei suoi discorsi, soprattutto ai giovani, quando li invita ad attingere anzitutto al proprio “entusiasmo giovanile”, alla capacità di “guardare con gioia al futuro”, sapendo “rischiare nella vita”. Basta con la passività e la mediocrità di “una vita trascorsa sul divano, andando precocemente in pensione”.
Occorre che si torni a porre domande sul senso della vita, cercando di confrontarsi con la cultura della vita, “perché in questo momento, – afferma il Papa – nell’umanità, ci sono tante guerre, e noi stiamo vivendo una cultura della morte, una cultura del silenzio, che è un ignorare le cose che passano, e questa è morte non è vita, una cultura dell’indifferenza, quando, nei fatti, diciamo: a me non importa cosa succede lì, io sono indi# erente, io guardo le mie cose, le mie opportunità, le mie tasche e nient’altro”.
Questa concretezza, che passa anche nel chiedersi “quanti bambini all’anno muoiono di fame nelle zone di guerra”, si può acquisire con le tre dimensioni dell’educazione: “Il linguaggio della testa, cioè il linguaggio delle idee e dell’intelletto”; “il linguaggio del cuore” e “il linguaggio delle mani”. Capire, amare, operare. Atteggiamenti che non sembrano più appartenere neppure alla comunità cristiana, troppo spesso muta, incerta, chiusa di fronte alla sterminata mole di appelli del Papa, ma anche sorda e cieca sui fatti che accadono nel mondo e, a volte, accanto a noi.
Don Oreste, che in questi giorni ricordiamo nel suo anniversario della morte, ricordava spesso che il silenzio è complicità col male, e diceva: “Non temete il male che c’è nel mondo, ma temete il bene che manca.” La pace, la difesa della vita, il creato, il lavoro, le discriminazioni, il razzismo sono temi che dovrebbero trovarci in prima linea ogni giorno, anzitutto perché cristiani, oltre che uomini. Cominciando da domenica 7 novembre quando in diocesi celebriamo la Giornata del Creato.