Una necessità degli adulti, che per suo tramite mantengono se stessi e la famiglia, il lavoro è diventato troppe volte luogo di morte. Quindici vittime in tre giorni a fine settembre: un numero che interroga e sprona a prendere coscienza di quel che non va. Anche perché tutto il 2021 sta presentando un conto inaccettabile di vite umane.
Nei primi nove mesi dell’anno, infatti, i morti hanno toccato quota 1.132: 544 sul posto di lavoro, il resto in itinere. Vi si sommano 137 agricoltori morti schiacciati dal trattore, mentre non entrano in questa tristissima contabilità i morti per covid contratto sul posto di lavoro: dal primo gennaio al 30 settembre 90 medici (360 dall’inizio della pandemia) e un’ottantina di infermieri, anzi infermiere, perché se circa il 90% dei caduti sul lavoro sono uomini, nel caso degli infermieri si tratta per il 70% di donne.
Oltre mille e cento vittime in 9 mesi è una cifra enorme: ben oltre la media annuale italiana che si attesta attorno alle mille, quasi tre al giorno (2,74).
Sono questi i numeri resi noti dall’Osservatorio indipendente di Bologna. Qualche prima pagina, poi di solito il silenzio eterno di chi – suo malgrado – non c’è più cala in fretta sul breve fragore della cronaca. Un silenzio col quale dovranno giocoforza convivere vedove, orfani, genitori anziani rimasti soli, amici e colleghi.
È sempre arduo dall’esterno sapere e comprendere: gli incidenti hanno tante e diverse cause.
A volte sono fatalità, altre sviste, altre ancora sono causati da non adeguate preparazioni per mansioni pericolose o da carenti o insufficienti protezioni. Ci sono stati anche casi in cui i dispositivi di sicurezza erano stati rimossi perché creavano problemi o rallentavano il ritmo della produzione.
Il lavoro non è una guerra. Eppure, come in una guerra, ogni giorno elenca le sue vittime alle quali si aggiungono i tanti casi di invalidità temporanee (in media 600mila l’anno) o permanenti (30mila). Il Premier Draghi ha avuto toni fermi, parlando di una situazione che “assume sempre più i contorni di una strage” e ricordando per nome le ultime vittime. Un gesto attento al quale ha mostrato di voler dare pronto seguito sia attraverso “pene più severe e più immediate” sia andando a creare collaborazione tra lavoratori e industria per l’individuazione precoce delle debolezze interne alle aziende.
Propositi già condivisi con i sindacati e rimarcati dal Ministro del lavoro, Orlando, che ha parlato di “nuovi strumenti” che verranno grazie ai fondi del Piano nazionale di rinascita e resilienza, della assunzione di 1.200 ispettori e di una prossima convocazione dei presidenti delle regioni.
Un’agenda ricca e tutta da realizzare che deve confrontarsi con la quotidianità dei ritmi vorticosi di lavoro, delle stanchezze, delle sviste, dei neo assunti non sempre adeguatamente istruiti alla mansione richiesta. Perché “Lavorare stanca” – diceva Cesare Pavese – ma uccidere no, quello il lavoro non dovrebbe farlo mai.
Simonetta Venturin