Di fronte alle terribili scene delle calche all’aeroporto di Kabul, alla disperazione di chi ha perso tutto e ora teme per la propria vita e sicurezza, di fronte a chi chiede accoglienza per immaginare almeno un barlume di futuro, l’Europa risponde alzando muri, facendo conteggi sui numeri delle accoglienze e vomitando un populismo ormai radicato nelle coscienze.
Una voce ampia e trasversale ma, per fortuna, non unanime.
“Faremo tutto il possibile – ha affermato il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, intervenendo al Meeting di Rimini lunedì 23 agosto – ci è stato chiesto un impegno anche a livello di diocesi e parrocchie e vedremo cosa sarà possibile fare. Molte famiglie giunte in Italia sono legate tra di loro e sono numerose, anche 15 o 16 persone. Come sempre faremo il possibile davanti al fratello in difficoltà per accoglierlo”.
Alle parole del cardinal Bassetti hanno fatto eco quelle del commissario Ue Paolo Gentiloni, sempre al Meeting di Rimini.
Gentiloni, rispondendo alle dichiarazioni del premier ungherese, Viktor Orban e del cancelliere austriaco, Sebastian Kurz che chiedevano – seppur in contesti diversi – di limitare l’afflusso di profughi afghani in Europa e di difendere le frontiere – ha detto che “ la Ue deve lavorare sull’accoglienza e sulle quote di immigrazione legale di rifugiati afghani e deve farlo anche togliendosi l’alibi della unanimità nelle decisioni”.
Nel frattempo anche l’Emilia Romagna ha dato la propria disponibilità, accogliendo le prime 108 persone, uomini e donne che prestavano servizio nell’ambito della missione Italia-Nato e le loro famiglie, arrivate a Fiumicino con un volo aereo dedicato. Dei 108 in arrivo, 80 persone saranno alloggiate nella provincia di Piacenza e 28 in quella di Parma.
L’Europa: un inferno
Uscire dal regime dei talebani e arrivare in Europa è il primo passo verso la salvezza, ma dopo aver varcato il confine con il vecchio continente, il cammino è ancora lungo, e spesso l’asilo rimane una speranza dicile da concretizzare.
Per chi arriva dall’Asia, in particolare dall’Afghanistan, la strada attraversa l’Iran e poi la Turchia, fino al confine con la Grecia, che in quel punto ora sta costruendo un muro.Il campo di accoglienza si trova sull’isola di Lesbo, ma essere qui è tutt’altro che facile, come ci racconta Elona Aliko, volontaria di Operazione Colomba, il corpo nonviolento di pace dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII.
“Lesbo rimane ancora una situazione tragica per i profughi. In questo momento le persone vivono nel nuovo campo di Kara Tepe, costruito dopo l’incendio del campo di Moira. È un campo chiuso: le persone non possono uscire e vivono recluse. È costruito in cima ad una collina senza alberi, e le famiglie vivono in tende piccole che accolgono più nuclei. Non c’è riservatezza, non c’è la possibilità di avere un po’ di ombra, di fresco, anche l’acqua è calda e non ci si può rinfrescare. Mancano i servizi più essenziali, ma soprattutto quello che viene tolto a queste persone è la dignità”.
Gli afghani sono la nazionalità maggiore tra i profughi presenti sull’isola. La maggior parte è in attesa di una risposta alla richiesta di asilo.
“Il 90% delle persone che si trovano sull’isola ha avuto più rigetti. Si trovano così in una situazione di limbo, perché con il secondo rigetto viene meno la possibilità di lasciare legalmente l’isola. A quel punto si cerca di andarsene in qualsiasi modo e di raggiungere la terraferma in modo poi da continuare con il game, la rotta balcanica”.
Ora la speranza è che la situazione politica dell’Afghanistan spinga l’Europa e lo stato greco a cambiare la politica sulle domande di asilo della popolazione, anche perché la maggior parte degli afghani presenti è di etnia Hazara, perseguitata dai talebani dalla loro prima presa al potere. Attualmente, però, le dichiarazioni del governo ellenico non fanno ben sperare, e i rifugiati continuano a vedere rigettata la loro domanda di asilo.
“Le donne afghane sull’isola sono terrorizzate e preoccupate per i loro cari rimasti là. Internet è stato chiuso, le comunicazioni sono dicilissime. Molte persone non hanno soldi per comprarsi da mangiare, figuratevi per fare una chiamata internazionale. I pochi racconti che arrivano sono quelli di persone chiuse in casa che non escono per paura che possa succedere qualcosa. I talebani fanno il giro delle case e fanno una X dove vivono donne single dai 15 ai 40 anni per tornare in un secondo tempo, rapirle e farle diventare le loro schiave sessuali. Noi cerchiamo di condividere con loro un pezzo di vita, di sostenerle e le aiutiamo accompagnandole presso l’ospedale o presso i comandi di polizia quando devono ricevere qualche documento, o presso gli altri servizi pubblici, ma soprattutto cerchiamo di mettere in contatto i rifugiati con i servizi presenti sul territorio, perché spesso anche se ne hanno diritto sono esclusi da questi servizi, quindi facciamo da intermediari”.
L’aspettativa, ora, è che l’Europa attivi al più presto i corridoi umanitari.
“Noi lo speriamo, ma dipende dalla linea che l’unione europea prenderà in futuro. Il governo greco però ha dichiarato che si sta preparando ad intensi_care i controlli sul con_ne con la Turchia, sia quello terrestre che quello marittimo. Sappiamo che in questo momento molti stanno cercando di rifugiarsi presso l’Iran, penso quindi che nel giro di pochi mesi molti afghani cercheranno di raggiungere l’Europa attraverso la Turchia, ma la linea greca è molto dura: le coste sono sorvegliate e i respingimenti arrivano direttamente dal mare. Per quanto riguarda i corridoi umanitari non è facile organizzarli, perché gli interlocutori sono i talebani, un gruppo terroristico. Bisogna quindi sostenere la via della Grecia, salvare queste persone e concedere loro una vita dignitosa con tutti i diritti. La situazione al momento è paradossale perché queste persone si trovano in Europa e qui subiscono la violazione dei diritti umani. Questo luogo qui non è Europa.
Non c’è niente dell’Europa per come vengono trattate le persone. Stiamo togliendo a queste persone la dignità. Ci sono persone che hanno impiegato 7 anni per raggiungere l’isola di Lesbo sperando di trovare la pace e i diritti e quando sono arrivati qua hanno detto che questo è l’inferno peggiore che hanno vissuto”.
Ahmad e la sua nuova famiglia a Coriano
Ahmad è arrivato tre mesi fa, ai primi di giugno a Coriano, nella casa di Monica e Luca, attraverso i corridoi umanitari della Comunità di Sant’Egidio.
“ Noi avevamo già dato la nostra disponibilità ad accogliere – racconta Monica – ma non sapevamo chi ci avrebbero mandato. Noi da sempre accogliamo immigrati, poi che uno venga dall’Asia, dall’Africa o da altre parti del mondo non ci interessa”.
Ai ragazzi che arrivano chiedono se preferiscono stare in una struttura o in una casa famiglia. Ahmad ha chiesto la casa famiglia. Giunto in Italia, ha passato un periodo di quarantena in una struttura della Papa Giovanni.
“ Quando ci hanno dato il contatto – continua Monica – siamo andati a trovarlo già durante la quarantena, per conoscerlo. Poi, una volta arrivato, i primi due mesi li abbiamo passati a fare tutti i giri per i documenti mentre lui studiava l’italiano con la scuola arcobaleno di Riccione e con gli operatori della APGXXIII, parla già un ottimo inglese e un poco di greco, oltre alla sua lingua, e ora riesce a parlare anche un po’ di italiano”.
Ahmad è di Kabul, ha 18 anni e ha 7 fratelli e sorelle. Il padre e il fratello hanno lavorato per il governo, in ufficio, e abitano in una zona centrale della città. Appena entrati nella capitale, i talebani sono stati a casa loro e hanno picchiato il fratello. Il padre è malato di cuore e non lavora più. Ora dipinge.
Ma il vero dramma della famiglia riguarda le sorelle, soprattutto quelle in età da marito – 12 e 20 anni – che ora rischiano il rapimento da parte dei talebani.
“ I contatti con la famiglia sono sporadici, anche se proprio recentemente è riuscito a parlare con il fratello. Ora stanno cercando di mettere i familiari nell’elenco delle persone da imbarcare. Una volta nelle liste però bisogna poi riuscire a raggiungere l’aeroporto e farsi riconoscere, e non è così scontato vista la situazione.
C’è un caos tremendo perché tutti cercano di scappare e sono consapevoli che sono gli ultimi giorni in cui è possibile imbarcarsi.
Poi però alla fine sono i militari americani che decidono chi può salire e chi no.
Viviamo questa situazione straniante, da un lato sentiamo ai telegiornali quello che accade, dall’altra parte ci arrivano i racconti dei familiari di Ahmad in diretta”.
Nel frattempo Ahmad ha trovato lavoro in un hotel 4 stelle di Riccione, come cameriere.
“ È un bravo ragazzo che sta costruendo il proprio futuro. Nonostante le dicoltà fino a qualche giorno fa era sereno, come lo sono i diciottenni, anche se da alcuni giorni il suo carattere gioioso si è incupito a causa degli eventi di Kabul”.