Per Parma ‘capitale della cultura’ l’oratorio di Händel su libretto del cardinale Pamphilj nell’abbazia di San Giovanni Evangelista
PARMA, 26 giugno 2021 – Lo specchio e i suoi significati. Simbolo fra i più rappresentativi dell’epoca barocca può diventare strumento d’illusione per chi vuole sottrarsi alla realtà o, allo stesso tempo, spietata testimonianza di verità per chi osserva la propria immagine in modo sincero.
Circondato da una sontuosa cornice, lo specchio è l’unico elemento scenico nel Trionfo del Tempo e del Disinganno allestito da Walter Le Moli in una nuova produzione di Teatro Due. E, collocato davanti all’altar maggiore della splendida abbazia benedettina di San Giovanni Evangelista, ribadisce subito la sua funzione di fulcro dialettico in questo dialogo filosofico a quattro personaggi. La chiesa affrescata dal Correggio, nel cuore di Parma, si è così trasformata in una teatralissima scenografia: sede ideale per accogliere quest’oratorio, musicato su libretto del cardinale romano Benedetto Pamphilj dal ventiduenne Händel durante il suo periodo di apprendistato italiano (la prima stesura risale al 1707, ma il compositore sassone vi rimise mano altre due volte). Il senso del teatro, già profondamente connaturato alla musica, viene poi ulteriormente potenziato dai pochi e ieratici movimenti degli interpreti, accuratamente calibrati da una regia felicemente coadiuvata dall’apporto di Tiziano Santi per le scene, Gabriele Mayer per i sontuosi costumi e Claudio Coloretti per le luci.
Se da un lato l’esecuzione musicale era affidata a un insieme di collaudatissimi specialisti del barocco come l’Europa Galante, guidati dal violino concertatore di Fabio Biondi, ad accomunare fra loro i quattro cantanti non era tanto l’appartenenza alla ristretta cerchia dei barocchisti, quanto i medesimi intenti interpretativi, finalizzati a valorizzare l’espressività musicale e le potenzialità drammatiche del testo. Pazienza poi se voci e strumenti non riuscivano sempre a fondersi in modo omogeneo: un limite acustico legato allo spazio prescelto, seppure tanto affascinante sul piano visivo.
Protagonista Francesca Lombardi Mazzulli, una Bellezza matura e, dunque, già rivelatrice di fragilità. Dotata di voce importante per timbro e colore, il soprano si è sempre trovata a suo agio in acuto, affrontando con sicurezza le innumerevoli colorature; e se talvolta la voce tendeva un po’ ad affievolirsi nella zona grave, ha saputo trasmettere la consapevolezza della caducità di un bene che rimane legato alla sola stagione della gioventù. Interprete del Piacere, una sorta di demone che con le lusinghe tenta d’illudere la Bellezza convincendola della sua invulnerabilità, il mezzosoprano Arianna Rinaldi: un’emissione a tratti disomogenea, evidente soprattutto nella prima parte, non le ha impedito di rendere le sfaccettature del personaggio, tanto più che proprio al Piacere spetta l’aria più bella e famosa dell’intero oratorio: Lascia la spina, cogli la rosa (Händel la riadatterà in seguito nel Rinaldo come Lascia ch’io pianga).
In un testo che si configura come una vera e propria disputa teologica, a questi due personaggi se ne contrappongono altri due con una differente, e più realistica, visione della vita. Austera e quasi sacerdotale nel suo splendido costume, il mezzosoprano Vivica Genaux ha interpretato il Disinganno, sfoderando una tecnica da collaudata barocchista – pregevolissime le sue diminuzioni – e, riuscendo a gestire una voce che talvolta fatica a saldare registro grave e acuto, è stata in grado di trasformare in risorsa espressiva quello che poteva apparire un limite. Non fa parte invece degli specialisti un tenore come Francesco Marsiglia, eppure è apparso molto convincente nel personaggio claudicante del Tempo grazie all’emissione salda, al fraseggio elegante, ai chiaroscuri della timbratura.
Sul versante strumentale, l’Europa Galante ha saputo mantenere le aspettative legate alla sua fama con sonorità scorrevoli e sempre molto appaganti. L’inventiva di Biondi si manifesta soprattutto nella capacità di spaziare sul piano strumentale con una libertà – mai arbitraria – fra un certo edonismo di marca italiana e un più severo rigore tedesco. Un’esecuzione che non restituisce solo le riflessioni filosofiche del testo, come in uno specchio appunto, ma dove si possono leggere anche differenti matrici religiose: quella cattolico romana di Pamphilj e quella protestante di Händel.
Giulia Vannoni