“Catcalling” è un termine che fin dal 1956, secondo l’Accademia della Crusca, è attestato con il significato di molestia verbale rivolta prevalentemente a donne incontrate per strada. Molestia verbale che comprende versi, fischi, avance sessuali, commenti indesiderati o insulti sessisti, che fanno anche riferimento a classe sociale, religione ed etnia.
Si tratta di un fenomeno che, anche se da sempre presente, di recente è tornato a scatenare discussioni, litigi e commenti, soprattutto sul web e sui giornali. Tutto sembra essere cominciato da un post su Instagram spuntato sul profilo di Aurora Ramazzotti, figlia del famoso cantante Eros Ramazzotti e di Michelle Hunziker, nel quale denuncia a denti stretti: “Possibile che nel 2021 questo succeda ancora? Appena mi tolgo la giacca sportiva perché sto correndo e fa caldo devo sentire fischi, commenti sessisti e altre schifezze. Mi fa schifo e, se sei una persona che lo fa, mi fai schifo”.
È interessante, in questo caso, sottolineare la parola ‘ancora’. È un chiaro riferimento al fatto che si tratta di qualcosa che, purtroppo, si protrae da molti, moltissimi anni e che ancora qui in Italia non è riconosciuto come illecito e non ha alcun tipo di punizione. Ledere e ferire la dignità di una donna, come di chiunque, dovrebbe essere almeno riconosciuto come sbagliato.
Un’Italia che resta indietro
Attualmente il fenomeno può essere solo inquadrato nell’articolo 660 del Codice Penale, che disciplina la contravvenzione di molestia o di disturbo alle persone. La norma punisce con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a 516 euro chi, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, per petulanza o altro motivo, reca a qualcuno disturbo o molestia. Ma, nello specifico, si intende punire il turbamento alla pubblica tranquillità e non la dignità della persona offesa e molestata.
E neanche si può inquadrare il ‘catcalling’ nell’ambito degli atti persecutori del cosiddetto ‘stalking’ (art. 612-bis del Codice Penale), perché il reato scatta solo in presenza di molestie ripetute e a condizione che la vittima subisca un pregiudizio concreto come per esempio il cambio di abitudini e la paura per la propria incolumità.
Risultato? In Italia un fischio rimane un fischio, un commento sprezzante rimane un commento sprezzante e anzi, alcune – se non parecchie – volte, se si chiede l’opinione a qualcuno, questo qualcuno risponderà con: “È solo un fischio, fai finta di niente”.
Di fatto minimizzando e rendendo normale il fenomeno stesso. Ma se fosse realmente così, se davvero fosse tutto normale e si trattasse solo di un piccolo intoppo nella giornata di migliaia di persone mentre attraversano la strada, perché altri Paesi si sarebbero mossi – legalmente parlando – per eliminare, o comunque ridurre, questo fenomeno?
Nel 2018, infatti, il governo francese ha approvato una legge che dichiara punibile il ‘catcalling’ su strade o mezzi di trasporto pubblici con multe fino a 750 euro, oltre a una mora destinata a comportamenti più aggressivi. Ma non solo in Europa ci si è mossi. Addirittura in Perù vigono leggi simili fin dal 2015, come anche negli Stati Uniti.
I pericoli dietro al catcalling
Come visto, al contrario di diversi altri Paesi, in Italia sempre più ragazze, donne, ragazzi appartenenti a minoranze etniche, sociali o religiose, devono sopportare il timore ad uscire di casa o ad indossare ciò che vogliono. Di fare una semplice passeggiata, addirittura. Come ci racconta Rim Manouar, 23enne riminese, vittima proprio di un episodio simile. Un episodio che dimostra come il catcalling possa diventare un fenomeno molto pericoloso, se non affrontato in modo incisivo.
Ciao Rim, raccontaci brevemente quello che ti è successo.
“Molto spesso, al pomeriggio, vado a fare delle passeggiate a piedi nelle campagne di Santarcangelo. Il mese scorso, però, mi sono trovata ad affrontare una situazione che non avrei mai immaginato mi potesse accadere. Stavo camminando sul bordo della strada, quando si accosta alla mia destra una macchina, con all’interno una donna.
Una donna sulla cinquantina. Pensavo mi volesse chiedere un’informazione, tanti si perdono nelle vie di campagna, perciò ero già pronta a risponderle con qualche indicazione stradale. Si ferma, abbassa il finestrino e inizia a fissarmi. Continua a guardarmi in maniera strana, mi ‘squadrava’ letteralmente. Inizia poi ad annuire sorridendo e mi dice: ‘Sei proprio una bella ragazza’. Diceva questo continuando a non staccare il suo sguardo pesante dal mio corpo. Io sono rimasta come impietrita, in silenzio, non sapevo cosa dire né tantomeno cosa fare. Subito dopo mi ha superata e ha parcheggiato la macchina sul bordo destro della strada.
L’ha chiusa e ha iniziato a camminare nella mia direzione. La strada era completamente vuota, la solita stradina di campagna circondata da campi.
In lontananza ho visto che si stava avvicinando a me. Mi sono girata e ho cominciato a correre per arrivare alla strada principale, pregando che ci fosse, nel caso di bisogno, qualcuno a cui chiedere aiuto. Mentre correvo, ho chiamato al cellulare mio fratello che è venuto a recuperarmi subito. Assieme a lui sono riuscita a ripercorrere il tragitto all’inverso e a prendere la targa della macchia che era ancora lì parcheggiata. Quel giorno non ho finito di fare la passeggiata,sono tornata a casa e mi sono messa subito a letto”.
Che cosa hai provato?
“Non avrei mai pensato che potesse succedere una cosa del genere a me.
In quell’istante mi sentivo pietrificata, non ero connessa col mondo. Ho provato paura. Paura di non poter riuscire a uscire da quella situazione che era più grande di me. La mia mente mi diceva che dovevo andarmene, scavalcare il fosso e correre il più veloce possibile verso i campi; ma una cosa è pensarlo e un’altra è farlo. Mi sono veramente sentita umiliata e inorridita”.
Cos’hai fatto nei giorni successivi? Ti sei rivolta alle autorità?
“Il giorno dopo mi sono recata alla caserma dei Carabinieri per sporgere denuncia. Ho raccontato il tutto e ho pure riferito la targa della macchina della signora. I Carabinieri, molto disponibili e gentili, comprendendo la situazione, mi hanno consigliato di fare una segnalazione e, nel caso l’avessi rivista ancora, di procedere con la vera e propria denuncia. Mi hanno inoltre tranquillizzato, dicendomi che avrebbero comunque fatto un controllo e un sopralluogo”.
Pensi che sarebbe utile una maggiore tutela giuridica per chi subisce catcalling, un fenomeno che, come nel tuo caso, può anche sfociare in situazioni più pericolose?
“Credo che sia giusto e utile approvare una legge che punisca azioni di questo tipo. Anzi, è già tardi. Ognuno dovrebbe sentirsi libero di fare una passeggiata a prescindere da tutto, senza dover far fronte ogni volta a vessazioni di tipo psicologico di questo genere. Poco importa se la vessazione provenga da una donna o un uomo, non cambia nulla. Un provvedimento legale sicuramente non risolverà il problema, ma almeno limiterà azioni del genere. Si tratta, secondo me, di un fattore educativo: bisognerebbe partire dalle scuole, dai più piccoli. Creare una nuova cultura fondata sul rispetto e sulla stima reciproca”.
Martina Bacchetta