Come molto spesso si afferma, la Romagna ha due grandi anime: una tradizionale, legata alle origini della campagna e del mondo contadino, ancora oggi valorizzate soprattutto nell’entroterra, e una, la più famosa in Italia e nel mondo, turistica, legata al mare, alle spiagge, al mondo dell’innovazione e del divertimento. Anime apparentemente contrapposte, ma che in terra di Romagna riescono a convivere (quasi) in armonia. Ma com’è nata questa doppia identità, così caratteristica del nostro territorio?
Difficile, ovviamente, individuare un momento preciso. È possibile, però, risalire alle origini di una comunità attraverso le memorie, le testimonianze, i ricordi e le tradizioni popolari. È ciò che ha fatto Mirella Vandi Mazzotti, ex insegnante di scuola elementare che proprio attraverso i racconti di famiglia è riuscita a individuare uno dei momenti più importanti per lo sviluppo della sua Riccione e, da diversi punti di vista, della Romagna per come è conosciuta oggi: l’arrivo della ferrovia, che più di un secolo fa ha fisicamente diviso il borgo riccionese in due parti, mare e campagna, frattura che, nel corso dei decenni, avrebbe poi portato allo sviluppo di quelle due diverse anime di cui si parlava. Un racconto che la Mazzotti pone solo come punto d’inizio per una storia di Riccione (e della Romagna) di ampio respiro, che attraversa tutto il Novecento (e non solo).
Una storia divenuta libro: E il treno passò… tra la terra dei campi e la sabbia del mare (La Piazza Editore, 2020), di cui riportiamo un estratto dedicato proprio alla storia della ferrovia.
“Tra le varie e suggestive ipotesi sul significato del nome ‘Viola’, dato a quella strada di Riccione che più tardi fu dedicata alla generosa signora Maria Ceccarini, mi piace adottare quella di ‘viul’, o ‘viottolo’ che diventò poi ‘la Viola’ quando ruote di carretti e di carriole e poi zoccoli e piedi scalzi lo resero duro e battuto e costituì la via principale per arrivare al mare. Nel dialetto romagnolo spesso il passaggio dal maschile al femminile dava un senso di grandezza e di espansione, così il ‘viul’ divenne ‘viola’ come ‘cuercia’ significava grande coperchio e ‘mastela’ grande mastello. La ‘Viola’ fu dunque un grande nastro di terra battuta che univa l’antico centro urbano, sorto sulla via Flaminia, con la spiaggia del mare ancora desolata e deserta: un sentiero fiancheggiato da vegetazione spontanea, perché lì ancora tutto era incolto.
Solo più tardi, quando la strada era già diventata importante, fu fiancheggiata da due doppie file di pioppi che la accompagnavano dalla via Flaminia fino alla spiaggia. Qualcuno disse che originariamente questo primo sentiero fosse stato segnato dalla chiglia di una barca trascinata a monte da un antico marinaio, quindi fu un solco che segnava il collegamento fra la terra dei contadini, che ricavavano dalla terra i frutti necessari al loro sostentamento e il mare, l’altro ambiente fecondo da cui traeva sostegno la gente del posto. Queste erano le attività che permettevano a questo popolo di povera gente di vivere e procreare, lasciando ai loro discendenti sentimenti di fede e di speranza in un futuro migliore, ma anche esempi di operosità e di sacrificio, perché il futuro raramente dona qualcosa se non lo si è guadagnato superando prove difficili”.
L’arrivo della ferrovia e una vita che cambia
“Voglio raccontare la storia di questa linea di collegamento e di un’altra di sbarramento, la ferrovia, che tagliò in due parti la ‘Viola’ quando il Governo della nostra Italia, raggiunta quasi interamente l’unità, provvide
a collegare, con una rete ferroviaria le terre del nord, riunite sotto la sovranità di Casa Savoia, con le terre del sud della penisola appena conquistate da Garibaldi. Voglio parlare di due tipi di vita: una ispirata alla tradizione, l’altra che si avviò presto all’innovazione e all’emancipazione; una al centro della campagna e l’altra in prossimità del mare. Voglio raccontare la storia di un contadino e di un pescatore a me molto cari, perché diedero vita alla mia vita: i miei nonni. Il mio nonno Cesare Vandi, ‘Cesare ad Tmasoun’, proveniva da una zona dell’interno del grande Comune di Rimini e si era stabilito nel territorio di Riccione Paese al di sopra della ferrovia. Il mio nonno Serafino Santini ‘Finein ad Pivarein’ si era stabilito al di sotto della ferrovia, nella zona di marina chiamata Centro.
Le due zone, collegate dalla ‘Viola’, furono divise dalla ferrovia nel 1861 e da allora il treno passò fra la terra dei campi e la sabbia del mare e fin da allora, per molto tempo, segnò una linea di demarcazione fra due mondi diversi. Il passaggio a livello di Riccione ebbe il numero 120, messo bene in vista dal casello che ne segnalava la presenza. Però il treno non si fermava: la locomotiva a vapore, trascinando i suoi vagoni passava sferragliando, salutava con uno sbuffo nero di fumo ed uno bianco di vapore, passava
e proseguiva il suo viaggio. La guidava il macchinista, con a seguito il fuochista che alimentava continuamente il fuoco che doveva produrre il vapore. Al suono di una campanella l’addetto al casello chiudeva i cancelli per la protezione dei pedoni e li riapriva subito dopo il passaggio del treno”.
La fermata di Riccione
“Questo finché la buonanima di don Tonini ottenne per la borgata di Riccione la famosa fermata (era il primo gennaio del 1862) che segnò l’inizio della fortuna del nostro centro balneare (a ricordo di questa persona e di questo avvenimento fu posta nella sala
d’aspetto della stazione, nel 2012, una targa commemorativa a cura del ‘Rotary Cub’ di Riccione-Cattolica). Il buon parroco, per dimostrare che la fermata non era inutile, prendeva ogni giorno il treno per Rimini e ritornava poche ore dopo, finché, col
tempo, qualcun altro trovò il coraggio di salire su quel demonio di ferro nero e di servirsi di quel moderno mezzo di locomozione.
Si dovette aspettare ancora qualche anno perché qualcuno si avventurasse nella zona a mare, poi nacquero i primi ospizi marini, sorse qualche spaccio per la vendita di generi diversi e intorno al viale ‘Viola’ si formò
il centro marina”.
L’amore tra Maria Ceccarini e la comunità
“La generosa signora Maria Ceccarini, che tanto fece per la popolazione riccionese, rivolse la sua attenzione anche alle necessità dei pescatori: prestò al Comune di Rimini, di cui faceva ancora parte la borgata di Riccione, la somma necessaria per la costruzione del porto che ponesse al riparo le loro barche. La tradizione popolare racconta che, per questo atto di generosità, i pescatori riconoscenti andarono a prelevare la signora fino alla sua villa, che si trovava a Riccione alta, la invitarono a salire sulla carrozza, ma furono loro stessi, al posto dei cavalli, a trascinarla fino al porto dove la loro benefattrice fu festeggiata. […] Dalla parte opposta della ‘Viola’ si estese la parte ricca di Riccione quella che andava fino al viale Martinelli, che oggi si chiama Battisti. Questa zona, lottizzata dal conte Martinelli, doveva costituire la ‘città
giardino’ ed era formata da ville di proprietà dei primi villeggianti facoltosi che i riccionesi chiamavano ‘i sgnur’. Era partita dai vecchi e audaci imprenditori riccionesi questa industria di costruzioni chiamata ‘chiavi in mano’. Quando qualcuno dei turisti che avevano frequentato la nostra spiaggia in estate, pensava, durante l’inverno, che gli sarebbe piaciuto avere una villa di proprietà a Riccione, ritornando qua se la trovava bell’e pronta, solo da acquistare. Il viale ‘Viola’ divenne il centro della zona balneare e si chiamò viale ‘Maria Ceccarini’”.