La bella pagina de “ilPonte” dedicata a Davide Minghini, visto attraverso un saggio scritto da Andrea Montemaggi, contiene una parola che oggi non si usa più: “fuori sacco”. Si trattava della busta da consegnare al vagone postale di due treni al giorno, fatta eccezione la domenica, e che era diretta alla redazione bolognese de “il Resto del Carlino”. Lo storico quotidiano quale aveva aperto la sua edizione riminese il primo agosto 1957.
La prima spedizione avveniva poco dopo le tredici, quella serale alle 19.
Dopo questa spedizione c’era la “fissa” ovvero la chiamata telefonica da Bologna, con uno stenografo pronto a ricevere eventuali notizie non spedite con il “fuori sacco”. Quello serale era il più frequentato da Minghini perché conteneva tutto quanto era accaduto in cronaca nella giornata.
Sono affezionato alla redazione del 1960-62, quando da studentello vi feci un apprendistato fondamentale sotto la guida del capo-pagina prof.
Amedeo Montemaggi, un giornalista di vaglia e soprattutto un maestro di cronaca dalla rara efficacia e intelligenza delle cose.
Appena conclusa la sessione d’esami dell’abilitazione magistrale, dissi a mio padre se mi poteva presentare a Montemaggi che lo conosceva bene. Una mattina di fine luglio andammo in piazza Cavour, e lo incontrammo proprio sulla porta del palazzo dove ha tuttora la sede il “Carlino” riminese.
Dopo i convenevoli di rito, Montemaggi mi disse una cosa che ho sempre conservato in memoria come prima regola del lavoro di cronista: «Bisogna imparare a lavorare di corsa. Ieri sera ho fatto in tre quarti d’ora un pezzo di due cartelle e mezzo per l’edizione nazionale». In quella regola c’è tutto quanto è utile in certi momenti. Ovvero concentrarsi sull’argomento, saper tirare fuori tutto quello che serve, scrivere, rileggere e spedire…
Allora non c’erano né telescriventi né computer, si andava appunto col “fuori sacco” in stazione o al massimo per le cose urgentissime si ricorreva telefono. Che andava però usato con parsimonia per non essere sgridati dall’amministratore bolognese, celebre, temuto e tiratissimo.
Il vice di Montemaggi (che cominciava allora le sue ricerche sulla Linea gotica) era Gianni Bezzi, studente in legge, bravo, intelligente e soprattutto amico, nell’impostarmi sul lavoro di ricerca della notizia e nella stesura dei brevi testi di cronaca. Bezzi ha poi lavorato a Roma al “Corriere dello Sport”.
Corrispondente da Riccione era Duilio Cavalli, maestro elementare, e conoscitore dei segreti dello sport, materia affidata per il calcio al celebre Marino Ferri. Mentre Isidoro Lanari, curava le recensione cinematografiche.
E poi c’erano i padri nobili del giornalismo riminese che frequentavano la nostra redazione. O che collaboravano allo stesso “Carlino”. Come Giulio Cesare Mengozzi che sostituiva Montemaggi durante le sue ferie. E Luigi Pasquini, una celebrità che non si fece mai monumento di se stesso, ed ebbe sempre parole di incoraggiamento con noi giovani. C’era poi la simpatica e discreta presenza di Davide Minghini, il fotoreporter, l’unico che aveva un’auto con cui andare sul luogo di fatti e fattacci. Un collega giovane come me, era figliodi un poliziotto, e andava in commissariato a rubare le foto degli arrestati dalle scrivanie dei colleghi di suo padre. E noi le dovevamo restituire…
Posso dire di aver fatto con Montemaggi, Bezzi e Cavalli una gavetta che mi è servita sempre. Forse appartengo ad una generazione che è consapevole dei debiti verso i Maestri che ha avuto. Forse ho la fortuna di essere consapevole dei miei molti limiti per poter riconoscere l’aiuto ricevuto nel miglioramento dalle persone con cui sono venuto a contatto allora e poi. Fatto sta che quei due anni nel “Carlino” per me sono stati fondamentali. Studio e passione per argomenti diversi hanno la radice in quella curiosità che mi insegnarono essere la prima dote di un cronista.
Gianni Bezzi è scomparso a Roma nel 2000, dove aveva lavorato per tre decenni al “Corriere dello Sport” come cronista ed inviato speciale (nella foto di Davide Minghini e di proprietà di Paolo Bezzi, Antonio Montanari, Gianni Bezzi e Duilio Cavalli al lavoro nella redazione del ‘Carlino’). Gianni amava lo sport che aveva in Marino Ferri la penna-principe del “Carlino”. Fece il corrispondente locale del “Corriere dello Sport”. Aveva un linguaggio asciutto, il senso della notizia, era insomma bravo. Frequentò di sera anche la redazione bolognese del “Carlino”, dopo aver lavorato al mattino in quella di Rimini.
Diresse poi un nuovo giornale “Il Corso”, che usciva ogni dieci giorni. Mi chiamò, affidandomi una pagina letteraria (che battezzai “Libri uomini idee”, rubando il titolo ad una rubrica del “Politecnico” di Vittorini), ed anche una rubrica di costume (“Controcorrente”). Fu un sodalizio di lavoro intenso ed appassionato. Mi nominò persino redattore-capo, e credo che sia stato l’unico errore della sua vita. Nel gennaio del ’67 il nevone ci fece saltare un numero.
Due anni dopo, Gianni fu assunto a Roma. La sua ultima fatica, fu un libro sullo sport del ’900 a Rimini ( La mia Rimini. 100 anni di sport. Da Romeo Neri a Carlton Myers. Un secolo di campioni riminesi, edito nel 1999, con scritti di Sergio Zavoli, Sergio Neri e Italo Cucci). Una volta in una conferenza in suo ricordo, dissi che nella piazza centrale di Rimini il muro di Berlino passava in mezzo: da una parte il Municipio e dall’altra la sede del “Resto del Carlino”. Erano (ripeto) gli anni Sessanta.
L’unica persona tra noi cronisti che il potere politico amava era appunto Davide Mighini. Ricordo una cerimonia in piazza Cavour con il sindaco che chiede prima di cominciare a parlare: «Ma è arrivato Minghini?».
Antonio Montanari