In un mosaico di culture, visioni religiose, modi di vivere e possibilità di esistenza, la proposta di una visione unitaria fondata su un elemento essenziale: la fede piuttosto che la religione.
Così potremmo sintetizzare il viaggio apostolico compiuto da papa Francesco in Iraq. La proposta appare dirompente in un contesto in cui la religione è stata utilizzata come strumento di conflitto, come base per l’ eliminazione anche fisica di persone e comunità appartenenti a credi diversi, per distruggere strutture, opere educative e sanitarie, capolavori d’arte e finanche cancellare città e villaggi.
La radice nel patto di Abramo è la stessa. È lui il nostro padre nella fede capace di lasciare ogni cosa “per andare verso una terra che non conosceva” (Francesco, Preghiera dei figli di Abramo, 6 marzo 2021).
Francesco lo ha fatto incontrando esponenti religiosi chiedendo loro di contagiare con lo stesso spirito quanti hanno vicini o che da loro dipendono. È la grande sfida non del semplice dialogo e neanche di una ipotetica fraternità, ma piuttosto la sfida di ritrovare la radice comune, riconoscersi in essa e di là ripartire. Certo diversi, ma allo stesso tempo pronti nel dare dimostrazione che la fede è l’elemento che unisce.
Lo ha fatto disegnando ai cristiani, da sempre presenti in quei territori, non l’attesa di tempi migliori, e neanche incitandoli a confidare solo sulla palma del martirio, pur meritata dalle circostanze e dalla violenza ruggente che in nome di un Dio ha eliminato persone, luoghi di culto, speranza di vita.
Ai cristiani ha affidato il compito di ricostruire le istituzioni chiedendo loro di “sporcarsi le mani”; li ha invitati ad essere artigiani di pace e cioè protagonisti di una rinascita per un Paese dalle grandi risorse ma che per ora mostra solo potenzialità.
Leggere il “pellegrinaggio presso una Chiesa viva” solo come un incontro interreligioso o tra uomini di religione, vuol dire sorvolare su ciò che di politicamente valido ed effettivo comporta: la fede e non l’appartenenza religiosa è protagonista di ogni azione e dei possibili cambiamenti. Con sano realismo Papa Francesco ha detto ancora una volta che il riferimento alla fede, alla fede di ciascuno e di tutti, è l’elemento che unisce e crea la coesione necessaria in grado di dare un futuro ad un Paese o al mondo.
La religione identificata unicamente nelle strutture e nella ripetizione di formule e modelli contrapposti, non potrà essere la forza che salva, né l’elemento che va salvato. È come Abramo che obbedisce con fede e per fede prosegue, anche di fronte al sacrificio che Dio gli chiede: questa la sfida che in terra irachena Francesco ha lanciato alle religioni, alla politica interna, estera e internazionale.
Un nuovo patto da Ur, concreto, perché non si debba più dire: “abbiamo sbarrato le porte alla pace” (Preghiera per le vittime a Mosul, 7 marzo).
Vincenzo Buonomo
Rettore Pontificia Università Lateranense