Home Attualita “La mia vita a Iringa in mezzo ai bimbi”

“La mia vita a Iringa in mezzo ai bimbi”

Il desiderio di partire alla volta di Paesi lontani, con l’intento di agire in modo diretto e concreto, attraverso progetti di solidarietà e volontariato, per migliorare le condizioni di vita di milioni di persone in difficoltà, non si è fermato neanche con l’avvento della pandemia da Covid-19. La conferma arriva da Ambra Gennari che racconta il suo percorso di servizio civile, iniziato appena due mesi fa, in Tanzania.

Ambra, partiamo dal principio. Dove e quando sei nata?

“Sono nata a San Marino il 7 agosto del 1995”.

Com’è scaturita l’idea di partire? Era un progetto che avevi in mente da molto?

“L’idea di partire per il servizio civile ce l’avevo da tanto. Nel 2019 mi sono laureata in Educatore Sociale e Culturale e l’anno successivo, diciamo, sarebbe stato quello perfetto per un’esperienza all’estero, prima di un’ipotetica specialistica. La partenza doveva essere in aprile ma, a causa delle restrizioni dovute alla pandemia, ovviamente non sono potuta andare via fino ad ottobre. Pur avendo in testa da tanto l’idea del servizio civile all’estero, non sapevo assolutamente in che Paese l’avrei voluto fare. Il tutto si è concretizzato quando, cercando tra i vari progetti usciti col bando, ho trovato l’Africa chiama. Si tratta di una Ong di Fano con 3 programmi attivi in Africa (Tanzania, Kenya e Zambia). Studiando un po’ le varie alternative, ho poi scelto quello in Tanzania, pensando fosse quello più nelle mie corde”.

Esattamente come funziona l’attività? La Ong come opera?

“In Tanzania, nello specifico nella città di Iringa, l’Africa chiama è attiva con tre importanti iniziative. Il progetto Sambamba, che in lingua locale significa «fianco a fianco», si propone di favorire l’inclusione sociale di bambini con disabilità. Dal 2016 sono stati avviati 7 focal points, sparsi nella città e nella periferia di Iringa, che, grazie alla collaborazione dell’Amministrazione locale e della Diocesi, sono allestiti con semplice attrezzatura volta alla riabilitazione. Le famiglie con figli disabili, ogni settimana, si dividono nei vari ‘punti’ e, seguiti dal personale locale (operatori, fisioterapisti e terapisti occupazionali) svolgono esercizi di riabilitazione motoria e cognitiva. Il programma raggiunge complessivamente 350 bambini. C’è poi il progetto Kipepeo che si pone come obiettivo generale di innalzare il livello di sicurezza alimentare dei bambini di Iringa e delle loro famiglie in difficoltà, che vengono segnalate dagli ospedali della zona, attraverso un programma multisettoriale.

Il sostegno si sviluppa con visite domiciliari, effettuate con cadenza settimanale, che permettono di personalizzare il programma nutrizionale. Il progetto School Feeding prevede, invece, il supporto alimentare a 3.092 bambini in grave difficoltà che frequentano sei scuole dislocate nella periferia di Iringa. I bambini ricevono un pasto completo tre volte a settimana”.

E tu che mansioni hai?

“Il mio impegno è di collaborare, a rotazione, a tutti e tre i progetti: un giorno, magari, sono in un focal point del Sambamba, quello successivo a eseguire una visita domiciliare per conto del Kipepeo e quello dopo ancora mi trovo in una mensa dello School Feeding. Inoltre mi occupo di lavoro di ufficio, reportistica e altro”.

Descrivici un po’ il luogo dove ti trovi. Come ti hanno accolta?

“Fin da subito mi sono sentita molto accolta, mi sono trovata molto bene con i nostri capi, i due cooperanti italiani. La casa che ci ospita è spaziosa e la città molto vivibile: pur essendo grande, non è caotica e ci si sposta facilmente.

L’impatto culturale non è stato scioccante inizialmente, i momenti peggiori sono stati quando abbiamo iniziato a fare visite domiciliari e siamo andati nei quartieri più poveri.

Lì abbiamo potuto vedere come vive la fascia più deprivata della popolazione, come sono le case, le condizioni…”.

C’è qualcosa che ti spaventa, che temi?

“Per ora quello che mi spaventa di più è non riuscire ad imparare lo swahili, che è la lingua principale in Tanzania.

Pochi parlano inglese, quindi la cosa più difficile ora è comunicare con lo staff locale e con i beneficiari con cui lavoriamo”.

Per quanto riguarda la situazione epidemiologica planetaria attuale invece?

“La situazione epidemiologica non mi spaventa, altrimenti non sarei neanche partita. Qui non ci sono restrizioni, perché il Governo considera il virus debellato. Ovviamente noi sappiamo che non è così e quindi usiamo tutti gli accorgimenti del caso: non prendiamo mezzi pubblici, lavoriamo con le mascherine…”.

Hai nostalgia di casa?

“Per ora nostalgia ne ho poca, alla fine sono partita da appena 2 mesi ed è ancora tutto nuovo, non ci si annoia mai”.

Martina Bacchetta