Da quando Rimini è diventata il palcoscenico dell’acceso dibattito attorno al tema delle energie rinnovabili, a seguito della presentazione dell’ormai famoso progetto di maxi-impianto eolico in mare davanti alla costa romagnola, la discussione si è sempre più polarizzata: eolico sì, eolico no. Al centro, però, resta sempre e solo l’eolico, come se fosse l’unica strada percorribile per arrivare al definitivo (e necessario) abbandono dei combustibili fossili.
Ma è davvero così? Non sono possibili altre soluzioni? Su questa domanda si fonda l’attività di ricerca di Margherita Bologna (nella foto) giornalista scientifica riccionese e “ambientalista da una vita”, che ha raccolto in una ricerca dettagliata diversi esempi virtuosi di applicazione della tecnologia fotovoltaica in Italia e nel mondo, a dimostrazione che una terza via, quella del Sole, è possibile. Lo studio è ora nella mani dei vertici della provincia riminese e della Regione Emilia Romagna, in attesa di sviluppi.
Margherita, ci parli della sua attività. Da dove nasce?
“Negli anni, sulla scia della mia passione per l’ambiente e della mia esperienza di comunicatrice come giornalista scientifica, ho ricercato e raccolto quei progetti e quelle soluzioni che rappresentano un’alternativa efficace all’attuale sistema di produzione e consumo di energia basato sui combustibili fossili.
In sostanza la mia ricerca vuole rappresentare un messaggio per i decisori politici ed allo stesso tempo una prova che è possibile sviluppare fin da ora un modello di produzione di energia alternativo a quello attuale, centralizzato e finalizzato al profitto, dal momento che non solo le tecnologie per farlo esistono ma sono già state applicate concretamente anche in Italia”.
Alcuni esempi?
“Ce ne sono tantissimi, ma ne cito solo alcuni, uno nella nostra regione e l’altro in Piemonte. Il primo è il CAAB, il centro agroalimentare di Bologna, che è il mercato ortofrutticolo con la più grande per superficie fotovoltaica installata sul tetto, in Europa. I pannelli coprono una superficie di ben 100mila mq per una produzione di 11 milioni di kWh. Per intenderci, l’energia prodotta nel 2017 per il 30% è stata consumata dal mercato stesso e la parte restante è stata immessa in rete.
In questo modo si è ottenuta una riduzione delle emissioni di CO2 pari a circa 5.000 tonnellate l’anno e di circa 1.5 tonnellate di PM10. Nel febbraio 2019, inoltre, è stato completato un nuovo impianto fotovoltaico sulla copertura degli uffici, che potrà produrre 520mila kWh ogni anno, l’80% dei quali in autoconsumo. Un altro caso importante è quello del Lidl, un discount aperto lo scorso anno a Torino che, ad oggi, si caratterizza come il punto vendita più sostenibile nel suo genere.
L’edificio è stato costruito con zero consumo di suolo mentre la superficie del tetto (4.500 mq) è composta da oltre 2700 mq di orti urbani e di verde e per il resto da pannelli fotovoltaici per produrre energia e per alimentare luci led a basso consumo. Sono solo due esempi già operativi di produzione di energia fotovoltaica sul posto nella grande distribuzione. Sono qui in Italia, non molto distanti da noi: segno che una svolta è possibile anche nel nostro territorio”.
Quale modello propone?
“Il modello alternativo è quello della produzione di energia diffusa su tutto il territorio della nostra provincia.
L’Italia è il paese del sole. Vogliamo utilizzarlo? Se i pannelli fotovoltaici fossero installati sulle abitazioni private, sugli edifici pubblici, sugli uffici, sui capannoni industriali, sulle infrastrutture dei servizi, sulle pensiline dei parcheggi offrendo la possibilità di ricaricare le auto elettriche, nella nostra provincia saremmo in grado di produrre la stessa quantità di energia generata dall’impianto eolico che si vuol costruire davanti alla nostra costa.
La quantità di energia che si produrrebbe sarebbe la stessa, ma con due differenze fondamentali. Da una parte l’energia non sarebbe prodotta in modo centralizzato e finalizzato alla creazione di profitti di pochi ma rimarrebbe a disposizione del territorio divenendo una grande ricchezza per tutti coloro che lo abitano. Dall’altra parte, non si andrebbe ad occupare altro suolo perché la tecnologia fotovoltaica sarebbe applicata agli edifici ed infrastrutture esistenti.
Inoltre i cittadini potrebbero unirsi in associazioni per concorrere alla produzione di energia ed i benefici prodotti ricadrebbero su tutti. Un ottimo esempio in questa direzione è quello delle comunità solari”.
Di cosa si tratta?
“Le comunità solari sono associazioni di cittadini finalizzate alla produzione di energia diffusa sul territorio realizzate già da diversi anni da alcuni comuni dell’area di Bologna come Medicina, Casalecchio di Reno e San Lazzaro, ma ci sono realtà anche in provincia di Ravenna e di Parma. Prevedono la possibilità, per tutti quei cittadini che non sono in grado di installare dei pannelli fotovoltaici sulla propria abitazione, di associarsi in un ente. L’ente, attraverso le quote versate dagli associati, investe nell’installazione di pannelli solari su altri edifici come, ad esempio, quelli pubblici.
E, sulla base delle quote investite nell’associazione, i cittadini possono trarne beneficio sotto forma di risparmio energetico e conseguente riduzione dei costi in bolletta oltre alla riduzione delle emissioni di CO2. In questo modo, di fatto, l’energia non è solo diffusa dal punto di vista della produzione e del consumo, ma anche da quello della responsabilità: l’energia diventa davvero un capitale di tutti, portando i cittadini ad un rapporto più collaborativo e di dialogo.
Tutto questo non è che il punto di partenza, il primo passo di un percorso che ha come traguardo la costruzione delle ‘città solari’, di cui oggi abbiamo già un esempio realizzato a Dubai: un complesso urbano sostenibile a 360 gradi, in cui tutta l’energia consumata è autoprodotta attraverso pannelli fotovoltaici installati ovunque, su edifici, strade, parcheggi, fattorie.
È a quel traguardo che dobbiamo arrivare”.
Ha citato l’eolico e, nello specifico, il maxiimpianto in progetto a Rimini. Tra i sostenitori dell’eolico c’è chi afferma che il solare non può essere la soluzione principalmente per due motivi: mancanza di energia di notte e grande urgenza di una transizione energetica che con il fotovoltaico non può arrivare in tempi brevi. Lei cosa pensa?
“Tutte le energie rinnovabili sono caratterizzate dalla discontinuità: il vento, ad esempio, è sempre presente? Certo che no. Per quanto riguarda l’urgenza di realizzare quanto prima una transizione verso la produzione di energia pulita, questo obiettivo può essere raggiunto ugualmente anche con il fotovoltaico: il modello di produzione diffusa non cozza con l’ esigenza di intervenire rapidamente sul clima.
Anzi, la realizzazione di iniziative sviluppate simultaneamente da più comunità locali, dà avvio ad un modello di produzione dell’energia decentrato che permette di realizzare gli impianti in modo più facile e più veloce. Se nella nostra provincia partiamo subito con un piano di produzione di energia solare diffusa sulla scia di esempi reali e concreti già in atto nel nostro Paese e nel mondo, possiamo ugualmente arrivare alla transizione energetica in tempi brevi. La tecnologia c’è, gli esempi pure. Basta solo partire”.
E, secondo lei, c’è speranza di partire?
“Devo dire che, in generale, percepisco una certa apertura in questa direzione: la regione Puglia, ad esempio, ha già approvato le linee guida attuative per promuovere le comunità energetiche mentre a livello nazionale un bel segnale in questa direzione è stato dato dal recente decreto del ministro dello Sviluppo Economico Patuanelli, che promuove le ‘comunità solari’.
Tutti possono aderire, non solo i privati cittadini ma anche le imprese che operano nel territorio e intendono ridurre i propri consumi energetici. Se il sole è di tutti, un modo vantaggioso per utilizzare l’energia che produce è in comunità”.